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EXT – La crescita delle imprese italiane e il ruolo di FSI.

Intervista a Maurizio Tamagnini CEO di FSI.

Nell’intervista di oggi (in versione integrale – tra gli episodi del podcast è presente la versione ridotta con i tratti salienti) avremo il piacere di ascoltare Maurizio Tamagnini, Amministratore Delegato di FSI.

Già amministratore delegato del Fondo Strategico Italiano, che ha diretto fin dalla sua creazione, Maurizio Tamagnini è anche Presidente del Consiglio di Sorveglianza di STMicroelectronics N.V..

“FSI è un Fondo privato, ma istituzionale. E’ il più grande fondo di capitale di rischio dedicato alle aziende industriali in Italia ed è uno dei tre più grandi fondi dedicati ad un solo paese in Europa.”

Nel corso dell’intervista, Maurizio Tamagnini ci spiega come FSI agisca con lo scopo di promuovere l’accesso delle eccellenze dell’imprenditoria italiana nel mercato dei capitali tramite lo strumento del private equity, insieme al riverbero della crescita delle imprese italiane nella competizione internazionale e come chiave per lo sviluppo del benessere della collettività.

Non potranno mancare esempi concreti e dati alla mano per una società che figura tra le 300 più grandi società di private equity al mondo e ovviamente un occhio di riguardo sarà riservato al mondo dei giovani con la presentazione di importanti progetti nell’ambito della formazione nelle materie STEM.

Per scoprire questo e molto altro, non vi resta che ascoltare questa nuova e imperdibile intervista del podcast INSIDE FINANCE.

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Buongiorno agli ascoltatori e benvenuti al podcast Inside Finance. Sono Laura Buono e ho il piacere di introdurre l’episodio di oggi della serie dedicata agli investimenti alternativi con l’intervista a Maurizio Tamagnini, amministratore delegato di FSI dalla sua costituzione nel 2016.

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È stato amministratore delegato di Fondo Strategico Italiano, che ha diretto sin dal suo avvio. In precedenza ha rivestito il ruolo di Head of Southern Europe for Corporate and Investment Banking per Bank of America Merrill Lynch e di cui è stato membro dell’Executive Committee per l’area EMEA. Nella sua esperienza di oltre vent’anni, ha curato più di un centinaio di operazioni di finanza straordinaria, private equity, debito ed equity.

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La sua carriera lo ha portato a lavorare a New York, Londra e Milano. È presidente del Consiglio di Sorveglianza di ST Microelectronics. Ha conseguito una laurea con l’Ode in economia monetaria internazionale presso l’Università Bocconi di Milano ed effettuato studi di specializzazione presso il Rensselaer Polytechnic Institute di Troy, stato di New York, USA.

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Riguardo l’azienda, FSI è una società di gestione attiva nel mercato del capitale di rischio con lo scopo di promuovere l’accesso delle eccellenze dell’imprenditoria italiana al mercato dei capitali. FSI gestisce attualmente il fondo chiuso di Private Equity, FSI 1, che grazie alla raccolta di circa 1,4 miliardi di euro di capitale, rappresenta il terzo maggiore fondo europeo interamente dedicato ad un solo paese,

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ed il primo in Italia nel settore di riferimento. Al 2021, FSI figura tra le 300 più grandi società di private equity al mondo secondo Private Equity International. Maurizio Tamagnini è intervistato da Vincenzo Marzetti, fondatore del podcast Inside Finance e del marchio di conferenze econ Zero In Sharing Knowledge.

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Chief Business Officer di Iason, società di consulenze in risk management finanziario con sede a Londra, Milano, Roma e Verona, consigliere del Canova Club Roma e coordinatore del format Breakfast & Finance Roma. Buon ascolto!

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Benvenuto quindi a Maurizio Tamagnini e grazie per la tua partecipazione. Maurizio, per cominciare come stai vivendo questo periodo diciamo particolare e su cosa stai lavorando in questi giorni? Buongiorno a te Vincenzo, buongiorno a tutti. Stiamo lavorando assieme al gruppo di FSI.

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nel cercare di mettere la benzina che i nostri investitori ci hanno dato al servizio delle aziende che hanno progetti coraggiosi. Tantissimi progetti nella economia digitale, nella trasformazione dell’economia fisica in economia digitale e tantissimi progetti in tutto ciò che ha a che fare con il post pandemia. Ad esempio un focus particolare per lo sviluppo di soluzioni per la salute.

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per aziende farmaceutiche che hanno nuovi progetti e anche per la combinazione tra questi due trend, il digitale e la salute insieme in quelli che sono un po’ i mestieri del post pandemia.

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Grazie Maurizio, poi nel corso della nostra chiacchierata magari andremo a fondo su alcuni di questi temi. Dunque, come prima domanda, volevo chiederti, nel leggere e ascoltare le tue interviste emerge spesso un invito sentito agli imprenditori ad aprire il capitale delle loro aziende. Credo che sicuramente sia un passaggio delicato e talvolta anche sofferto per le aziende, soprattutto quelle familiari. Ma perché pensi sia così importante questo passaggio? Vincenzo, la mia è un imp…

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quasi un’implorazione all’imprenditore italiano per far sì che apre il capitale. Questo vuol dire far crescere dimensionalmente la sua azienda. Io credo che le aziende siano un po’ come le persone. Nascono piccole ma devono svilupparsi, devono crescere, diventare grandi. Non possono rimanere piccole. Nella mia attività ormai da oltre quasi 10 anni, da quando iniziai a fare…

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L’investitore prima col Fondo Strategico Italiano e poi con FSO ha incontrato oltre un migliaio di imprenditori e questo è il tema ricorrente, la crescita dimensionale come fattore essenziale per la prosperità. Non tutte le aziende chiaramente possono riuscire in un percorso di crescita rapida, ma questo deve essere l’assillo, deve essere la priorità. Ricordo una frase dello scomparso.

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grande imprenditore della chimica, presidente di Confindustria, Giocio Squinsi, che diceva le aziende familiari devono avere l’ossessione per la crescita. Oppure un’altra affermazione in una video proprio in questo periodo di pandemia da parte di un grande giovane imprenditore, l’ingegner Silvano Pedrollo, che produce bellissime

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pompe meccaniche vendute in tutto il mondo, fra l’altro recentemente ha completato una coraggiosa acquisizione in America, negli Stati Uniti, che mi ha colpito ed è stata molto simbolica. Diceva, il cocco drillo quando si ferma si trasforma in una borsetta. Ecco, io credo che questo valga proprio per le aziende come punto di priorità. Bisogna crescere. Se non cresci, diventi target. Se cresci, puoi essere.

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con lui che è consolida. Tutti gli imprenditori, noi abbiamo una classe imprenditoriale favolosa, io credo avendo avuto a che fare con gli imprenditori tedeschi e francesi che sono altrettanto bravi, i nostri sono istintivi, sono genuini, sono appassionati delle loro aziende, hanno tutti un sogno, chi vuole comprare un’altra azienda, chi vuole fare un impianto in Sud America, chi ha un’altra tecnologia, chi vuole svilupparsi in Asia, la crescita c’è.

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Anche oggi, in questi momenti di difficoltà, la si può raggiungere, ma è diventata una crescita diversa dalla crescita che c’era negli anni 60, negli anni 70 e anche fino a venti anni fa. E’ molto più complesso, è molto più costoso raggiungere questa crescita e non lo si può fare da soli. I mercati sono geograficamente più lontani, la concorrenza è diventata, lo si dice come stereotipo, veramente una concorrenza globale. Ed è molto spietata, perciò…

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bisogna fare in fretta e non si può fare tutto da soli. Quello che era un’opzione, l’acquisizione tanti anni fa, a mio parere oggi, è diventata uno strumento necessario per far crescere le aziende. La crescita tramite il cosiddetto Mergers and Acquisitions è importantissimo, soprattutto in settori dove raggiungere una dimensione minima come nell’economia digitale è veramente un imperativo. C’è poi…

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Il tema del passaggio generazionale che troppo spesso nelle nostre bellissime aziende è un trauma e non è una grande opportunità e non è vissuto con l’armonia e con la tranquillità che dovrebbe invece essere vissuto. Ho tante volte discusso con amici anche là nel tempo, anziani, imprenditori bravissimi che hanno costruito aziende irripetibili, splendide, leader di mercato in quello che fanno e gli ho chiesto ma…

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Scusa un attimo, perché prendete solo all’ultimo la decisione su come e a chi lasciare la vostra creatura più amata? Dopo averci lavorato giorn e notte per una vita aspetti gli ultimi momenti per questa decisione. Perché non passate i migliori anni della vostra vita, quando avete 50-60 anni nel programmare e scientificamente e dettagliatamente portare avanti il passaggio

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In questo ambito, se ormai i dati sono notti, ma se si vuole ripetere, le nostre aziende hanno una sovrapposizione fra l’imprenditore, l’azionista e il management molto più alta che in altri paesi. In Italia i due terzi delle aziende sono ancora gestite dal proprietario, in Francia il 25%, in Inghilterra addirittura meno del 10%. Io ti direi perciò questa

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dicendo che l’Italia è il paese dei più grandi imprenditori, ma non sempre dei migliori capitalisti. Grazie Maurizio, se ho ben capito, credi fortemente nel potenziale delle belle aziende italiane come consolidatrici dei loro settori, eppure mi viene da pensare che negli ultimi decenni ci siamo abituati a vedere tanti dei nostri brand più prestigiosi, penso alla moda, al lusso, ma anche a tanti altri settori, oggetto di acquisizioni di gruppi stranieri. Che ne pensi su questo?

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è un mio crucio, ho passato tanti anni nel pensare e cercare di progettare un grande gruppo di aziende del marchio che sullo schema di LWMH e Kering, i due grossi gruppi francesi, potesse essere un po’ un laboratorio da cui creare un grande gruppo italiano, magari partendo da un nocciolo di due o tre aziende all’inizio e nel tempo accogliene altre che

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un porto sicuro per un tema di successione, un tema di crescita, un tema di fattori competitivi. Purtroppo fino ora questo non è stato possibile. Condivido un evento, un ricordo del 2013, era estate, qualche giorno dopo la vendita da parte della famiglia l’Europiana al gruppo francese LVMH dove, assieme al Dottor Gorno,

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invitamo i proprietari delle maggiori 10 aziende dei marchi italiani. Presentammo un’idea semplice, una holding in cui l’allora Fondo Strategico Italiano avrebbe contribuito cassa in questa holding e i proprietari dei marchi più famosi del Made in Italy avrebbero iniziato con contribuire una piccola quota della loro azienda, un 3 o un 5% di ognuna di queste aziende.

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un momento iniziale di questo progetto. Questa holding sarebbe stata nel tempo quella holding che avrebbe acquisito le società degli imprenditori che avessero desiderato vendere e magari passare la mano. Allo stesso tempo la cassa da noi contribuita avrebbe potuto essere da subito utilizzata per costruire una filiera.

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di aziende artigianali dei fornitori, penso alle aziende più piccole che fanno accessori, bigiotteria, a pelli pregiate, gioelleria e così via. Dopo un paio di piacevoli e incoraggianti incontri nei nostri uffici purtroppo è arrivata la stagione delle sfilate, agosto è passato, ognuno è tornato legittimamente a concentrarsi sulla propria azienda e il progetto è evaporato proprio…

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come neve nel sole di agosto. Da allora in questo settore, il settore dei marchi, molte cose sono cambiate. Purtroppo per il Made in Italy non in positivo. Chiaramente ci sono dei belli esempi positivi, ma in generale non in positivo. Oggi le aziende non hanno più valore solo perché hanno un marchio. I capitali stranieri sono diventati più selettivi nell’investire nel Made in Italy. Non ci si può più aspettare quello che succedeva negli anni 80, negli

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o anche nella prima parte degli anni 2000, aspettando che arrivasse un russo, un cinese, un indiano che investiva solo per il marchio, a prescindere dal fatto che l’azienda guadagnava o non guadagnava. Mai come prima d’ora il mercato premia l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria dell’azienda, la sua capacità di produrre reddito, che trova nella dimensione il suo fattore principale. La società

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Le società di questo settore, ma generalmente parlando di tutto il Made in Italy più allargato, sono un bivio. La crescita dimensionale non è più un’opzione, è un atto dovuto per restare competitivi e prosperare. Tale crescita, a mio parere, non può che avvenire tramite l’apertura di capitale verso operatori finanziari che però abbiano una comprensione delle tematiche industriali ed un’ottica per ciò che le accompagna.

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Oggi io credo sia molto difficile finanziare la crescita solo con il debito, soprattutto in questo post pandemia e questo debito renderebbe le società più vulnerabili. A me piace fare qualche esempio numerico per dare proprio una fotografia di come questo tema sia ormai consolidato. La pandemia lo ha conclamato e reso un colpio attuale, ma il fenomeno era già chiaro con riguardo ad esempio le aziende del marchio.

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semplicemente il fatturato del 2020, l’anno della pandemia, l’anno pieno della pandemia, con il 2019 è già chiaro che la dimensione è il fattore critico. C’è uno studio di cui ho avuto la possibilità di consultare che divide le aziende in grandi, le aziende che hanno più di 6 miliardi, le aziende considerate più piccole che fanno fra un miliardo e mezzo e 6 miliardi e le aziende più piccoline, quelle rimanenti. Bene, le aziende grandi

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del 14%, le medie del 19%, le piccole del doppio delle grandi, il 27%, ossia il fattore a dimensione è già chiaro da quanto è stato venduto in questo momento critico. Ma questo è solo l’inizio di una serie di indicatori che sono purtroppo molto chiari. Le grandi nonostante la pandemia

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sono riuscite a produrre cassa, ossia a non indebitarsi, per il 5% del proprio fatturato. Le piccoline invece purtroppo hanno diminuito cassa, perciò si sono indebitate del 10% del proprio fatturato. Se pensiamo il 10% del fatturato in termini di debito vuol dire che la dimensione fa la differenza tra prosperità, sostenibilità, indebitamento e in qualche caso purtroppo fallimento.

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La dimensione è un fattore critico anche per ripartire più velocemente, per guadagnare terreno nel post pandemia. Nel 2021 le aziende grandi, ad esempio, prevedono di riavere più o meno lo stesso fatturato del 2019, per risettarsi a doverone nel 2019. Le piccole invece hanno ancora un’aspettativa di ridurre il fatturato del 6%.

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a che cosa? Alla possibilità da parte delle grandi di avere un sistema di distribuzione più forte, più bilanciato, di poter raggiungere i mercati più lontani e poter assumere, avere accesso e mantenere le migliori risorse umane che sono poi il fattore ancora più importante per avere successo. Le aziende grandi sono molto forti nei paesi lontani, ad esempio quasi metà del fatturato delle aziende grandi, precisamente il 44%

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viene dall’Asia. Le piccoline invece in media fatturano un poco più del 25%, precisamente il 27%, nell’Asia che è il grande motore di crescita e che è ripartito prima nel ciclo del post pandemia. Poi le aziende grandi hanno valutazioni più alte, ad esempio pari al 6 a 6 volte infatturato, le aziende medie 4 volte infatturato, le aziende piccole meno di 3 volte infatturato.

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E questo ancora una volta perché è importante? Avere una valutazione sana, forte, permette a queste aziende ove lo vogliano di usare la leva della loro moneta, della loro valutazione per comprare altre aziende, per fare investimenti, per finanziarsi al meglio e perciò per usare il tutto ancora una volta per trarre vantaggio competitivo, perciò dimensione come sinonimo di prosperità.

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Permettimi di finire questo commento con riguardo al tema, alla domanda sui beni di lusso italiani, su questo settore così importante del Made in Italy, con una fotografia di come è cambiato velocemente lo scenario e di come le aziende italiane siano cresciute meno delle aziende francesi negli ultimi sette anni, dal 2014 ad oggi, quando Dott.

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invitamo i 10 grandi marchi per valutare questa nostra idea di creazione di una holding del lusso italiano. Allora nel 2014 le prime 3 società francesi avevano un fatturato di 25 miliardi tutte insieme, oggi lo hanno quasi laddoppiato a 45 miliardi, una crescita dell’80% in 7 anni. Questo si confronta con un fatturato delle prime 15 aziende italiane?

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che ai tempi avevano un fatturato complessivo di 16 miliardi, oggi questo fatturato delle stesse 15 aziende è di 18 miliardi e si è cresciuto di 2 miliardi contro il quasi raddoppio di 20 miliardi in più delle 3 aziende francesi che sono perciò aumentate in modo geometrico, il gap perciò si è triplicato. Le prime 3 società francesi capitalizzano oggi più di 400 miliardi.

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le prime 5 società italiane oggi capitalizzano 26 miliardi, ossia le prime 5 italiane capitalizzano più del 90% in meno delle 3 grandi società francesi. Conseguentemente oggi più che mai sarebbe urgente ed attuale pensare a quel progetto di creazione di un’azienda che nel lungo periodo possa mettere insieme

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l’imbattibile creatività dei nostri grandi imprenditori del marchio, della moda del lusso e possa passatemi la parola, imbastardire queste qualità uniche di creatività con le risorse e le competenze dei managers e il rigore sì qualche volta tedioso o noioso della finanza. I francesi non hanno fatto miracoli, hanno semplicemente fatto questo e hanno avuto successo nei loro grandi gruppi della moda. Possiamo farlo anche noi?

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se i nostri imprenditori decidono di fare una cosa sola, fare sopravvivere la loro azienda a se stessi.

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Grazie Maurizio, ci hai dato veramente tante informazioni interessante, viste da un punto di vista che normalmente almeno io non avevo mai ascoltato. Tra tutte le importanti informazioni che ci hai dato mi ha colpito molto la suddivisione nelle tre macro aree di imprese grandi, medie e piccole, che spesso insomma hanno delle metodologie di classificazioni differenti. Nel tuo caso hai citato, fatturato per oltre 6 miliardi per le grandi, tra un miliardo

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piccole. Credo che tali dati siano ancora più rappresentativi se li valutiamo in termini di numerosità perché ovviamente l’Italia è caratterizzata da un gran numero di aziende sotto il miliardo e mezzo di fatturato. Questo mi fa pensare ovviamente che la base della crescita sia allo stesso tempo una rivoluzione anche culturale e anche di risorse umane perché parleremo a breve delle competenze ma nel frattempo mi sembra di capire che il tuo punto di vista è che gli imprenditori italiani quindi devono avere più fiducia

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ed essere più aperti ai fondi di private equity. Soprattutto con la formula adeguata, mi sembra di capire, ma ci puoi spiegare meglio questo concetto? Il capitale di rischio in Italia, sto chiaramente generalizzando, è stato visto un po’ come una medicina presa a malavoglia, in ultima istanza dopo aver provato tutte le altre opzioni. Io invece credo che oggi gli imprenditori italiani debbano vedere l’apertura del capitale come un’opzione strategica.

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da abbracciare con coraggio e in modo proattivo. Non è più tempo per posticipare i progetti di crescita, soprattutto delle crescite coraggiose e trasformazionali, per la preoccupazione di diluire la quota azionaria di proprietà da parte della famiglia fondatrice. Io dico meglio una fetta piccola di una grande azienda prospera, che è una fetta grande di un’azienda che ha perso la sua competitività e mi auspico di no, ma magari in difficoltà.

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Noi come industria del capitale di rischio, il cosiddetto private equity, abbiamo fatto degli errori e dobbiamo fare autocritica, soprattutto parlando agli imprenditori, una lingua troppo complessa e facendo del debito, della leva, il punto fondamentale della nostra formula di intervento e di investimento. Io credo che il tempo sia cambiato, sarebbe opportuno che gli imprenditori e l’industria del capitale di rischio facciano una partnership sulla base di regole di buona governance.

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rispettando i contratti scritti e firmati e guardando la crescita dell’azienda sia organica che tramite acquisizioni e non solo utilizzando strumenti come il cosiddetto leverage buyout o il leverage in genere, più concentrato sul ripagamento del debito ma mettendo molto più focus sulla crescita dimensionale e perciò la capacità di questa azienda di essere prospere nel medio lungo periodo.

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qualche numero per dare una fotografia del problema o se vogliamo dell’opportunità. Gli investimenti di capitale di rischio in Italia sono in media fra i 5-6-7 miliardi all’anno. In Francia e in Germania questo a montare è di almeno 3 volte tanto. Rapportando gli investimenti di capitale di rischio al PIL, il private equity ancora ne volte in Italia è deficitario, circa lo 0,3% del PIL, gli investimenti di private equity.

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Faccio un esempio, in Francia questo numero raggiunge quasi lo 0,8%, perciò più del doppio. Consequentemente per colmare questo divario rispetto agli altri grandi paesi europei, il capitale di rischio in Italia deve aumentare, dovrebbe raddoppiare forse triplicando.

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Vista la natura poi del nostro sistema industriale che come dicevamo prima è molto concentrato su aziende medie, non su aziende grandi. Perciò sono aziende medie di nicchia molto belle che possono usare la benzina del capitale di rischio che un investitore come FSI può portare per la crescita e per la trasformazione. L’Italia è un paese importante in Europa, rappresenta più del 10% del pil dell’Europa.

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e se lo guardiamo in termini di valore aggiunto ancora di più, quasi fra il 10 e il 15%. Se andiamo a vedere il capitale di rischio invece, ancora una volta come percentuale degli investimenti in Europa, tale capitale di rischio non è a doppia cifra come il nostro contributo al PIL o il contributo al valore aggiunto, ma si ferma di solito attorno al 5%.

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Perciò c’è un tema culturale, c’è un tema proprio di patto fra imprenditori e l’azienda del private equity per far aumentare questo a beneficio della crescita delle nostre aziende. La stessa fotografia vale per le aziende quotate. La borsa italiana è più o meno della stessa dimensione della borsa spagnola, è un quarto di quella francese tedesca. Io credo che la ragione per cui nel nostro Paese i delisting sono superiori alle nuove quotazioni

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e sia anche frutto di tante diverse ragioni, ma principalmente è perché noi interpretiamo la quotazione come un momento finale del nostro percorso di valorizzazione. Troppo spesso si va in borsa per monetizzare, e invece è importante andare in borsa

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stringendo un patto con i nuovi azionisti del flottante della borsa stessa per condividere l’inizio di un progetto di crescita e finanziarlo tramite l’entrata in borsa, perciò un momento di matrimonio e non un momento di rilascio, di monetizzazione tramite la borsa stessa. Se questo avviene io credo che un aumento in tutta quanta la filiera

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degli investimenti di capitale di rischio, permetteranno ai nostri imprenditori di essere ancora più competitivi e alle nostre aziende di essere più prospere nel medio-lungo periodo. Grazie Maurizio, mi ha molto colpito tutta la disamina che hai presentato, mi ha colpito anche la missione di colpa del passato dei fondi privatequiti che spesso utilizzavano una comunicazione non efficace verso gli imprenditori perché era troppo complessa. D’altro canto credo

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anche la base culturale degli imprenditori sia la chiave per avvicinare culturalmente l’investitore con le aziende, ed è un po’ lo scopo del nostro podcast, quello di diffondere la cultura economica finanziaria e dare una piccola goccia nell’oceano per favorire la crescita. Ma alla luce di queste tue considerazioni, credo che nasca FSI, è corretto? Direi di sì, la principale ragione per cui è nato FSI è questa, FSI è un…

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Fondo privato ma istituzionale è il più grande fondo di capitale in rischio dedicato alle aziende industriali in Italia ed è uno dei tre più grandi fondi dedicati ad un solo Paese in Europa. Abbiamo a disposizione un miliardo e mezzo per investire, è un fondo lungo, perciò paziente. All’interno del nostro gruppo di investitori abbiamo i migliori investitori pazienti italiani.

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ma abbiamo anche grandi fondi sovrani internazionali dal Medio Oriente all’Estremo Oriente alle grandi assicurazioni e banche europee. Questi sono capitali che investiamo in partnership con gli imprenditori, tutti i nostri investimenti sono in partnership con gli imprenditori, le famiglie o i gruppi fondatori come i gruppi bancari che condividono un tema principale che è quello di avere un progetto di crescita coraggioso.

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di un obiettivo che non sia lineare, di un obiettivo che possa portare discontinuità positiva all’azienda in cui noi investiamo. E con un po’ di orgoglio che già dal 2019 siamo entrati un po’ nella classifica dei grandi investitori internazionali, il cosiddetto Private Equity International, che fa la lista dei 300 maggiori fondi mondiali e siamo stati confermati nel 2020, siamo l’unico fondo corporate industriale italiano in questa lista.

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e credo che nel nostro operato lo siamo in parte già diventati. Il punto di riferimento per tutte quelle belle aziende italiane, cioè sono tantissime leaders di nicchia o di prodotto che desiderano attrarre capitale paziente sì ma dinamico con il quale rapportarsi ogni giorno con qualcuno che è vicino a loro, perché noi siamo fisicamente qui a Milano e con cui condividono affinità culturali ma progetti ambiziosi a livello globale.

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Abbiamo una formula che ci permette il più possibile di parlare all’imprenditore, coniugando competenze da investitore, tecniche finanziarie, queste sono necessarie in un fondo di investimento, ma accanto a queste competenze finanziarie abbiamo anche costruito una serie di competenze industriali portate da un team che è presente nel nostro gruppo, in FSI, di ex amministratori delegati di multinazionali globali.

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che siedono nei consigli di queste aziende dove noi investiamo e mettono a disposizione la loro esperienza, la loro conoscenza, in momenti in cui hanno magari fatto delle cose che non rifarebbero, fianco a fianco, giorno dopo giorno, per aiutare gli imprenditori e i managers in questo percorso di trasformazione che è possibile ma sicuramente non è facile. Siamo soddisfatti del nostro portafoglio.

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dove abbiamo investito e crediamo che questo ci stia premiando ormai con un track record che sta andando avanti da qualche anno e questo lo stiamo rilevando anche in questo momento di pandemia particolarmente sfidante per tutte quante le aziende e anche per le aziende dove noi abbiamo investito. Faccio un esempio abbiamo investito in un’azienda che si chiama Cadreon, questa è un’azienda dove il nostro team ha investito tre volte per un totale di oltre 300 milioni di euro

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Il primo investimento fu fatto con una visione veramente di lunghissimo periodo, che non è sempre di un fondo finanziario, nel 2012, dove il nostro team era parte del Fondo Strategico Italiano, ora chiamato CDP Equity. Ai tempi l’azienda era fondamentalmente concentrata sull’Italia e aveva un fatturato di poco più di 250 milioni di euro di fatturato. Questa è un’azienda farmaceutica che fa prodotti salvaviti.

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Grazie a questo percorso lungo, ormai di quasi 10 anni, condiviso con la famiglia Marcucci e con i colleghi di CDP Equity, oggi questa azienda fattura quasi un miliardo di dollari, perciò si è trasformata e moltiplicata per qua.

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Grazie al contributo finanziario, ma anche di competenze e di auspicabilmente qualche buon consiglio, Kedron ha cambiato pelle, ha effettuato acquisizioni sui mercati internazionali, soprattutto negli Stati Uniti, dove oggi conta quasi la metà del suo fatturato partendo da zero nel 2012. Ha aumentato il suo mollo e la sua capacità di produrre casse di quasi tre volte. E’ una metrica che a noi fa molto piacere, i dipendenti sono raddoppiati da 1.300 a 2.600.

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Recentemente Kedro, guidata e ispirata dalla famiglia Marcucci in questa decisione, ha deciso di andare e dotarsi di un amministratore delegato esterno.

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Perciò i tre azionisti, ancora una volta i Marcucci, la CDP Equity e noi ci siamo riuniti ed è stato selezionato un manager americano proprio per dare il maggiore supporto ad un business che ormai conta per metà del mestiere, che arriva da una multinazionale del settore per continuare questo processo di crescita che ha stadi sempre diversi ma che non si può mai interrompere.

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Perciò Kendrion adesso è diventata da un’azienda praticamente italiana nel 2012 a quella che si chiama una specialty pharma globale che ora mira a continuare a crescere e a superare in un altro stadio il miliardo di dollari e andare perciò verso nuovi obiettivi. Ecco io credo che questo sia un percorso virtuoso dove l’azienda nel medio-lungo periodo cambia pelle ha un processo virtuoso di aumento del proprio valore.

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di aumento dei propri dipendenti e di aumento della propria capacità competitiva. Grazie Maurizio, della bella storia, è anche entusiasmante e anche grazie del case study che ci hai raccontato, magari…

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avremo tempo pure di affrontarne qualcun altro perché è sempre estremamente interessante vedere nella pratica quali sono stati gli obiettivi e i risultati raggiunti. Mi sembra che la formula di investimento quindi si posiziona in un segmento completamente differente da quello dei leveraged buyout, quindi volevo chiederti quali pensi che siano i benefici di questa formula rispetto alle altre? Io rispetto moltissimo la formula del leverage buyout che è adatta

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percorsi dove la famiglia fondatrice, gli azionisti desiderano cedere completamente l’azienda. E allora a questo punto questo meccanismo che si basa sul debito produce i risultati finanziari migliori. La nostra è semplicemente una formula diversa che si basa sulla capacità invece dell’azienda di usare il capitale, la benzina che noi mettiamo, per risolvere alcuni problemi congeniti come il passaggio generazionale oppure crescere proprio.

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usando perciò il nostro capitale per fare acquisizioni o per fare grandi progetti. Per noi funziona molto bene, perché il nostro portafoglio sta crescendo e siamo molto contenti. Abbiamo chiesto a due delle principali università italiane di fare un campione, un’analisi un pochino più ampia che non guardi solamente al nostro portafoglio, che sebbene significativo è limitato.

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e l’abbiamo chiesto alla Università Comerciale Bocconi e alla Santana di Pisa e i due studi che hanno fatto sono pronti pubblicati sul nostro sito e a chi lo desideri io consiglio di andare a consultare. Quello che questi due studi di fatto nella Super Sinteggi dicono è che aziende che sono più forti dal punto di vista patrimoniale, perciò hanno più capacità di investire, hanno più capitale, producono nel tempo.

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risultati economici, redditoriali e di produzione di cassa migliori, più forti e allo stesso tempo queste aziende che hanno uno stato patrimoniale più robusto hanno degli indici di sostenibilità, il cosiddetto ISG oggi così centrale, più alti. Perciò…

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La formula del cosiddetto capitale per la crescita che FSI ha sposato e abbracciato produce in queste aziende, dove si sia disposti ad aspettare un pochino di più dei risultati economici e redditori e degli indicatori di sostenibilità migliori.

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Maurizio, hai più volte citato il termine crescita, quindi mi sembra l’ambito principale di focalizzazione della tua e della vostra attività e mi sembra anche che sei convinto sul fatto che le aziende italiane ce la possono fare, ma da dove nasce questa focalizzazione sulla crescita come leva su cui dilottare la vostra azione?

37:36
Citerò due fonti per il mio ottimismo, che è un ottimismo che veramente ci credo tantissimo. La prima sono i più di trent’anni di incontri avuti con quelli che io veramente considero i migliori imprenditori al mondo, gli italiani. Non staccano mai di lavorare, non hanno sabato o domenica, hanno veramente un continuo, una passione, un amore veramente smisurato nei confronti delle loro creature.

38:00
La seconda fonte del mio ottimismo è un telescopio piuttosto privilegiato e potente in quanto ho la fortuna di essere presidente del Consiglio di Sorveglianza di STMicroelectronics. Sono orgoglioso di questo ruolo, è uno dei 5 maggiori produttori al mondo di semiconduttori nei segmenti in cui ST opera, il principale in Europa.

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S.T. è la prova concreta che in Italia si può fare tecnologia ad alto livello, S.T. è la prova che si può fare grande azienda dimensionale nel tempo, S.T. è la prova che il pubblico e il privato, perché S.T. è posseduta dallo Stato italiano, lo Stato francese, ma è anche quotata su tre mercati, che il pubblico e il privato possono agire insieme e prosperare, S.T. è la prova che la governance può rimanere e supportare le aziende nel lungo periodo,

38:50
questa partnership fra i due governi francese e italiano ormai dura da più di 30 anni. S.T. perciò è la nostra big tech europea, come magari in modo riassuntivo la chiamerei. È un’azienda che produce semiconduttori, oggi è diventato un po’ il settore più concentrato, tutti quanti ne parlano a causa della scarsità, è l’equivalente di questi…

39:12
io li chiamo mattoncini dell’elettronico ormai utilizzati in tutti i settori industriali che si basano su processi elettrici ed elettronici, di fatto questi chips, questi semiconduttori pervadono tutti i branchi della nostra economia.

39:25
Questa azienda non solo è un esempio di governance europea che io consiglio di analizzare, di studiare e auspicabilmente di replicare in altri settori della nostra economia per creare delle aziende dimensionalmente importanti dei campioni europei, ma nel tempo ha dato anche delle ottime soddisfazioni al mercato risultando ad essere un investimento azionario solido per i propri investitori e pagando regolarmente dividendi.

39:55
in un settore in crescita ma anche un’importanza strategica importante sia per l’Italia che per l’Europa. Se sei d’accordo su un ruolo di protagonista e di importanza strategica, ci dai la tua visione su questo tema? Inizio rispondendo con quanto è successo proprio qualche giorno fa, dando una testimonianza di come si può misurare la parola importante, strategico, tecnologico, proprio il 18 maggio scorso.

40:24
S.T. ha ricevuto un riconoscimento storico, quasi una specie di premio Nobel per il settore dell’ingegneria elettrica ed elettronica, il cosiddetto Premio IEEE o IEEE, che è questo grandissimo riconoscimento per una tecnologia sviluppata, creata dagli italiani qui in Italia, i colleghi di S.T., guidati da questo genio dell’elettronica chiamato Bruno Murari.

40:50
e da tutto il suo team, ora in pensione Bruno Morari è un veneto, che sono stati capaci di creare, di fatto, i semiconduttori per l’elettronica di potenza, i cosiddetti BCD, Bi-Polar, CMOS, D-MOS.

41:05
di questi piccoli chips ne sono stati venduti miliardi negli anni e sono stati poi trasformati, rei più efficaci, più efficienti, più piccoli e ancora più utili per tutti i settori dell’industria e questo è un riconoscimento veramente unico a questa azienda ecco questo forse è il modo migliore per dire come sviluppando questo tipo di industrie tecnologiche si possa contribuire alla sostenibilità

41:34
sia del territorio ma anche poi dopo alla capacità del nostro sistema industriale di essere ancor più competitivo. La parola industrializzare credo sia quella fondamentale per concentrarsi sul futuro della nostra industria. Ci tornerò più tardi, ma è collegata la parola industrializzare ancora una volta alla parola…

41:54
dimensionale, ma ti do due o tre numeri su ST. ST fattura circa 10 miliardi di dollari e ha una capitalizzazione di circa 25 miliardi di dollari in valore di borsa. Ha 11 siti di ricerche in Europa, in Asia, impiega quasi 50.000 persone di cui quasi il 20% o 8.000 persone dedicate alla ricerca e sviluppo.

42:16
investe in media quasi il 20% del proprio fatturato proprio in questa ricerca e sviluppo che è un po’ la componente essenziale di settori come quello in cui questa azienda opera. Poi oltre al 20% di ricerca investe un altro 10% del suo fatturato per continuare a dammodernare e a mantenerli competitivi i propri siti produttivi.

42:40
Grazie Maurizio di aver riassunto in modo così incisivo un’azienda così importante, anche complessa e anche come abbiamo visto strategica per il sistema Paese. Ma a questo punto quali sono gli impatti positivi per il nostro Paese dagli investimenti di STI? STI negli ultimi cinque anni ha investito in Italia quasi 3 miliardi e mezzo di euro e questi investimenti sono investimenti in due componenti veramente importanti.

43:09
per il nostro tessuto sono ricerca e sviluppo di base e aggiornamenti produttivi dei nostri impianti. In Italia abbiamo 8 centri di ricerca e quasi 11.000 dei 50.000 dipendenti. Di questi 11.000 dipendenti in Italia il 42% sono laureati e il 52% diplomati, perciò vi è un altissima componente del cosiddetto impiego qualificato.

43:36
credo questo sia un tema estremamente importante. Altrettanto importante sono gli investimenti rivolti al futuro. Un esempio, ad Agrate Brianza, S.T. sta mettendo le basi per radicarsi ancor più nel territorio e essere competitiva nei prossimi vent’anni. Ha costruito un nuovo impianto a 300 nanometri, che sono gli impianti veramente dell’ultimissima generazione in termini di efficienza, investendo oltre 2 miliardi di dollari.

44:04
in un singolo sito, perciò dotando la nostra azienda di tutte le condizioni industriali per essere competitiva non oggi ma anche nel futuro di medio-lungo periodo. Questo investimento è già in fase avanzata ed è previsto che presto sfonerà i primi mattoncini a 300 nanometri nel 2022.

44:25
Recentemente abbiamo avuto il privilegio di avere con noi il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, proprio lunedì scorso, perciò 10 giorni fa, che è venuto a inaugurare questo impianto per sottolineare quanto sia critico per il nostro Paese. Ma S.T. non è solo nord.

44:44
Quasi metà degli investimenti di ST sono rivolti al suo sito produttivo al sud Italia, dove la nostra azienda ha dedicato veramente tantissimi sforzi. Attorno a Catania, in quella che ormai viene definita la valle del carburro di silicio, dove ST sta lavorando su questi nuovi mattoni dei semiconduttori del futuro, quelli che ormai sono così chiamati i nuovi chips basati sul silicon carbide.

45:11
Questo è il contributo perciò in tutto il paese della nostra azienda. Nell’analizzare i verticali a cui ST fornisce i propri cibi, ho avuto occasione di osservare e di stupirmi ancora una volta però dell’unicità e della genialità dei nostri imprenditori. Ed ecco perché è importante ancora una volta avere aziende grandi che siano protagoniste di questa economia della trasformazione digitale, perché poi queste aziende creano attorno a sé.

45:40
sostenibilità e creano le cosiddette nuove aziende, le nuove aziende venture, le startup. Se qualcuno è interessato ad andare a visitare i cluster industriali attorno al sito produttivo di Agrate o alla Silicon Carbide Valley attorno a Catania, vede con Stata quanto si attivo questo tessuto di nuove aziende che utilizzano i vantaggi di vicinità.

46:05
e le tecnologie che ST porta attorno a sé come capofigliera e qui vengono create perciò le nuove aziende del futuro e tanti nuovi posti di lavoro qualificati. Questo credo sia essenziale per un grande paese come l’Italia. Le grandi aziende sono un pilastro fondamentale per un paese industriale in quanto sono in grado di guidare la ricerca di base e sono veramente il motore dell’R&D.

46:33
ma hanno anche la possibilità di fare importanti partnership con le università. Forniscono stimoli, hanno la possibilità di decidere se investono all’interno della propria azienda o in partnership proprio con gli Atenei, forniscono ambiti dove l’università si deve concentrare, danno fondi e borse di studio per i studenti e per i dottorandi. Credo che nel nostro Paese di questo si abbia molto bisogno.

46:58
Ad esempio, ancora una volta, ST ha appena siglato un accordo con il Politecnico di Milano per co-sviluppare nei prossimi cinque anni dei laboratori specializzati e co-gestiti. Questi saranno focalizzati su una serie di ricerche avanzate nel campo dell’elettronica di potenza, dei nuovi materiali e dei cosiddetti big data. E da questo osservatorio, come dicevo all’inizio del mio commento,

47:23
che trago fiducia che il futuro del sistema industriale italiano è un futuro positivo e a grandi prospettive, a tre condizioni però, che gli prenditori sacrifichino le quote azionarie quando necessario per facilitare la crescita facendo entrare nuovi capitali, informe, strutture che loro devono decidere, ma l’importante è che questo non sacrifichi la crescita dell’azienda.

47:50
che sappiano industrializzare su larga scala i progetti e le loro invenzioni e qui sono bravissimi e che abbraccino completamente con convinzione l’economia digitale.

48:01
Grazie Maurizio, devo dire una storia molto affascinante e sicuramente un esempio da trarre sotto vari punti di vista. Credo ne abbiate tanti, siamo un po’ in chiusura quindi ti chiederei di essere veloce, ma ci dai qualche accenno anche sul caso MetroWeb? Magari sia se abbiamo tempo, ecco, come flash, in modo tale possiamo rientrare nei tempi prestabiliti, grazie.

48:24
Prima dal 2012 al 2016 come Fondo Strategico Italiano e poi dal 2017 in poi come FSI ci siamo fortemente concentrati sui settori di trasformazione dell’economia in economia digitale. Hai accennato Metro nel 2012, fu uno dei primissimi investimenti come Fondo Strategico Italiano, i colleghi che ora lavorano con me in FSI. L’azienda era concentrata su Milano.

48:52
aveva fatto l’Everage perché era di fatto un’azienda di infrastruttura, era un’azienda molto piccola, valeva 500 milioni di euro. Il nostro intervento si concentrò con un aumento di capitale che non era strettamente

49:05
necessario, perché l’azienda finanziariamente non lo necessitava, ma fu quello l’intervento che accese la miccia per iniziare il grosso piano di investimenti nella fibra ottica, quell’investimento che facevamo ai tempi assieme a F2I, che aveva investito prima di noi, iniziò la cablatura di tre città, di Torino, di Bologna e di Genova, ai tempi si diceva…

49:28
Ci sarà il mercato per la fibra ottica, perciò fu un investimento proattivo e non di seguito di una necessità di mercato. Da lì l’azienda è stato oggetto di tutta una serie di passaggi, a mio parere virtuosi, che l’hanno portata ai giorni nostri, grazie al contributo di chi è venuto dopo di noi, della Cassa Deposite Prestiti e dell’Einel, e oggi di nuovi investitori di cui, leggo, si sta parlando.

49:52
Oggi la azienda impiega più di mille persone e ha sui cantieri indirettamente quasi 10.000 persone, ai tempi quando noi iniziamo aveva 50 dipendenti. Ecco perciò la forza di progetti trasformazionali ed ambiziosi. Ma…

50:08
Non solo sono moltiplicati varie volte il numero di dipendenti, le metriche di fatturato, le metriche di cash flow. Chiaramente il valore ha seguito quella che oggi è la più grande infrastruttura digitale d’Europa, sebbene concentrata solo su un paese e questo ha dato soddisfazione agli investitori che sono venuti, che hanno avuto occasione di moltiplicare il loro valore dal 2012 ad oggi. Un altro esempio che ho vissuto, di cui ho una piccola punta d’orgoglio, è sia…

50:37
A i tempi, quando la guardammo era un’azienda molto piccola, molto meno famosa di quella che è oggi, la monetica non era un settore così centrale, così conosciuto sia dall’economia che dalla finanza. Investimo come fondo strategico italiano, acquisendo le quote delle banche, e vi fu anche qualcuno allora che disse, perché eravamo nel pieno…

51:00
della crisi del debito del Sud Europa che il Fondo Strategico Italiano investiva per in qualche modo facilitare le banche, si, acquistando le quote sicuramente demo dei proventi alle banche venditrici, le banche italiane, ma noi lo facemmo perché questa azienda qui che altrimenti sarebbe diventata una divisione di una multinazionale estera, nulla di male, noi siamo grandi proponenti di investimenti esteri in Italia, ma siamo anche portatori di un sano patriotismo economico italiano.

51:30
L’azienda aveva 1500 dipendenti, forse meno, un mol di 90 milioni e un valore di 700 milioni di euro. Oggi questa azienda ha più che raddoppiato i propri dipendenti, ha un mol che è passato da 90 a 300 milioni, e il suo valore è quasi moltiplicato per 10. La sua combinazione con Nexi ha contribuito, sta contribuendo a formare un’azienda leader della monetica europea.

51:57
ma con azionariato, azionisti, cuore e cervello italiano. Sono stati fatti tanti passaggi e il contributo fondamentale di coloro che sono venuti dopo di noi, la CDP Equity e adesso la sua contribuzione in Nexi, hanno portato a questi eccellenti risultati. Ecco, in questa trasformazione e in questo cambiare pelle…

52:18
sempre mettendo la dimensione e la competitività al centro, che io credo ci sia la ricetta vincente. Sono state fatte tante scelte vincenti qui, come ad esempio le acquisizioni fatte all’estero nel 2012 SIA era fondamentalmente un’azienda che operava solo in Italia, ma noi vedemmo in quel gruppo di tecnici guidati dall’ingegnera Rigetti fuori Milano un gruppo di persone che avevano veramente tanta competenza.

52:48
con una presenza molto forte nell’Europa dell’Est. Sono queste operazioni di partnership pubblico-privato con continui cambiamenti per la crescita che credo siano il modello vincente. Ricordo infine questa operazione coraggiosissima fatta anche in partnership con il gruppo Poste che si è rivelata, poi Poste investì anche in sé stessa, un’ulteriore operazione estremamente soddisfacente e positiva.

53:16
Un ultimo esempio perché mi riguarda più direttamente in quella che è la mia vita di oggi, FSI, è quello più recente di Cedacri, anch’essa come sia un’azienda che nasce come consorzio al servizio del sistema bancario. Un consorzio, perciò un centro costi che viene valorizzato per diventare invece un’eccellenza, perciò un avviamento al servizio del sistema bancario. FSI vi ha investito all’inizio del 2018.

53:43
ai tempi Cedacri aveva 1500 dipendenti, ora ne ha quasi il doppio 2500. L’azienda valeva poco più di 300 milioni, ora ha moltiplicato varie volte il proprio valore in questa sua crescita. Cedacri è ancora centro elaborazione dati per l’Acri e si è sviluppata, ha cercato di mettere a frutto una serie di investimenti.

54:09
con nuovo management, nuova capacità di investire, perciò cercando di capitalizzare sul suo potenziale in espresso. Noi ci auspichiamo che possa seguire le orme di SIA nella monetica, aumentando perciò la sua capacità di essere competitive leader anche in Europa nel settore del fintech. Qualche settimana fa abbiamo, assieme alle banche e ai nostri partner, venduto Cedacri al gruppo ION.

54:37
Un gruppo di proprietà di un italiano che per la prima volta ha investito in Italia, il dottor Pignataro, un gruppo globale di software istica e tecnologia genitale molto grande che è ancora poco conosciuto ma ha veramente una dimensione comparabile coi grandi gruppi globali ed americani. E noi non abbiamo abbandonato CEDAC, abbiamo reinvestito ancora.

55:02
tutti i nostri capitali cercando di accompagnare questa azienda e credendo nella sua capacità.

55:08
come abitualmente facciamo, di creare valore non solo nella prima tappa che è questa, ma anche in successiva età. Ecco queste sono tre storie, c’è d’Acri, più vicina e più diretta a quello che abbiamo recentemente fatto e siamo ancora coinvolti, ma sia Metro che evidenziano la ragione per cui abbiamo deciso di investire centinaia di milioni di euro nell’economia digitale. Ci crediamo, crediamo che faccia bene alle aziende stesse, alla loro crescita.

55:38
alla creazione di occupazione, al cash flow e chiaramente al valore complessivo dell’azienda.

55:44
Maurizio non solo ci ha raccontato tre storie ma sono tre belle storie sicuramente esemplificative del concetto base di questo episodio che è la necessità di crescere la formula per la crescita e il riverbero per l’economia derivante da aziende più grandi. Siamo in chiusura e come da consuetudine il nostro format prevede un approfondimento sul mondo dei giovani quindi mi chiedo anche nei panni di investitore vicino alle aziende tecnologiche e industriali

56:14
della formazione dei nostri giovani in ambito STEM? Pensi che si debba fare di più per prepararli davvero alle professioni richieste delle imprese oppure credi sia effettivamente un buon lavoro quello che stanno facendo le università oggi? Il tema della formazione dei giovani nell’ambito tecnico-scientifico mi è particolarmente caro.

56:33
Credo sia un imperativo per ogni società moderna cercare di indirizzare lo studio dei nostri figli con forza verso gli ambiti che li renderanno cittadini più capaci, più gratificati e più felici. Il tema del nostro gap digitale di formazione degli studenti alla scienza è un tema ormai noto, non entrerò qui, non abbiamo il tempo, tanti altri hanno commentato, ma è importante fare qualcosa di concreto.

57:00
e il più diffuso possibile nel nostro Paese al più presto. Credo che sia un tema da affrontare con le famiglie, con i genitori e con i ragazzi, ancor prima dell’università. Bisogna iniziare a livello di scuole medie e sicuramente renderlo un punto fondamentale a livello di scelta delle scuole superiori e anche rimettere come centrale nel nostro insegnamento

57:26
il tema degli istituti tecnici professionali che sono così importanti per creare delle professionalità così richieste, così in abbondanza da buona parte delle nostre aziende in tanti settori industriali. Ora in quest’ottica ognuno di noi deve fare tutto quello che può, non stiamo facendo abbastanza stiamo cercando di fare il più possibile.

57:49
Darò due esempi. S.T. recentemente ha fatto un accordo con il Politecnico di Milano, molto importante per lo sviluppo di progetti innovativi collegati ai semiconduttori. È un accordo simbolico, S.T. ne ha fatti altri, ha una decina di accordi in Italia con tante università, col CNR e promuove ogni volta che può questo connubio vincente nell’interesse di entrambi, educazione, università e azienda. Nella stessa linea,

58:18
FSI ha fatto un accordo con il Politecnico di Milano e questo è un accordo un pochino più particolare, più piccolino e mi auspico che possa essere anche un esempio per canalizzare altri operatori della finanza per renderlo più significativo per dimensioni, ma ancora una volta per difonderlo. E’ un accordo di fatto dove il Politecnico e FSI mettono a disposizione competenze, sida

58:46
ma anche le risorse umane di FSI e i colleghi, per aiutare e supportare tutto tondo alcuni giovani imprenditori che hanno delle belle idee selezionate, che magari finanziariamente non avrebbero i danari per portare avanti queste idee, le portano avanti nel contesto di un parco scientifico che è quello del Politecnico, che a mio parere deve essere rafforzato ancora di più, ma è un bellissimo esempio, e in quel contesto i colleghi di FSI e le colleghe di FSI aiutano…

59:15
questa o questo giovane studente e imprenditore mentre si laurea al politecnico e forniscono anche le risorse finanziarie che sono sì importanti ma sono solo una delle componenti che servono per fare crescere nuove aziende, dico magari anche in un contesto di assensore sociale che l’Italia necessita, non voglio dire sempre di più, ma necessita il più possibile.

59:40
Ecco chiaro che questo è un esempio, una goccia nell’oceano. Mi auspico che ne siano altre iniziative in questo ambito, per portare Milano a fare qualcosa simile a quella che è stata creata recentemente a Parigi, che si chiama la Station F. La Stazione F, che è una specie di grande, ancora una volta parco scientifico, una specie di grande condominio dove il giovane o la giovane imprenditrice trovano tutto, dalla risoluzione di un problema di connessione,

01:00:10
società ha un aiuto tecnologico a come sviluppare il prossimo nodo della propria iniziativa imprenditoriale. Station Air fin poco tempo, per dare un’idea di come le cose si possono fare, io credo che Milano possa fare, se non meglio, ha messo insieme mille startup in un campus di oltre 50.000 metri quadri, con più di 30 programmi dedicati all’innovazione e di supporto.

01:00:35
E qui il fattore chiave non sono solo i danari che ci sono, la finanza, ma è la prossimità tra le start up e il terreno fertile che questi giovani trovano il punto fondamentale del successo di questa iniziativa. Ecco, per concludere mi piacerebbe che un giorno il marchio Made in Italy non sia solo sinonimo di bellezze, di contenitori di storia, di arte.

01:01:00
del vivere bene, di estetica, che è così importante, e noi tutti lo vogliamo mantenere e vogliamo continuare ad aumentarlo. Ma immagino anche un’Italia come contenitore di belle storie di scienza, contenitore di università di altissimo livello, dove da tutto il mondo ci guardano e dove sforniamo migliaia di fisici, di matematici, di ingegneri, che siano pronti per le grandi aziende.

01:01:25
ma se così lo desiderano possono trovare la possibilità di diventare giovani imprenditori come una via molto semplice e naturale. Ragazzi che mantengono il cuore le radici italiane, ma che abbiano possibilità di ottenere una formazione di eccellenza, possono creare nuove aziende e dove lo desiderano, sì in Italia, e dove non lo desiderano abbiano la scelta e non l’obbligo di prosperare come manager e imprenditori moderni a livello internazionale seguendo le loro capacità e le loro ambizioni.

01:01:55
Caro Maurizio, sono un appassionato di storie, di identificazione dei problemi e di presentazioni di soluzioni anche documentate. Questo è sicuramente stato il caso.

01:02:06
sono anche un appassionato di messaggi energici e positivi, quindi sarei stato ad ascoltarti per molto più tempo e approfondire tanti altri aspetti che purtroppo oggi non abbiamo il tempo di approfondire. Quindi siamo giunti ai ringraziamenti e ai saluti finali, lo facciamo come da nostra consuetudine in tre modi. Il primo è ringraziando tutti gli ascoltatori che ricordiamo possono sempre interagire con noi, inviando una maila a segreteria at

01:02:36
le vostre comunicazioni all’ufficio e allo staff di Maurizio Tamagnini. Maurizio garantiamo sempre la lettura ma non la risposta che sarà in funzione dell’interesse delle priorità del momento. Il secondo ringraziamento va a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questa intervista. Il terzo maggiore ringraziamento caro Maurizio va a te per questo viaggio esplorativo nella soluzione probabilmente migliore che è derivante da un fuoco sulla crescita quale poi è lo spirito.

01:03:05
di FSI, delle storie di successo che ci hai raccontato e dell’ispirazione che hai dato anche per i giovani. Quindi un saluto e buon lavoro da Vincenzo Marzetti e arrivederci al prossimo episodio.

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