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Il caso Amplifon dal 2005 al 2016 per voce dell’ex AD Franco Moscetti e spunti di riflessione per il prossimo futuro

Intervista a Franco Moscetti, nella top ten dei manager italiani, ex CEO di Amplifon che ha guidato dal 2004 fino ad ottobre 2015 e, successivamente, del Sole24Ore. In precedenza, iniziando la carriera da venditore, era stato Amministratore Delegato di Air Liquide Italia oltre ad aver ricevuto altri incarichi internazionali.

In ultimo, fondatore della Axel Glocal Business, un’azienda specializzata in assistenza alle imprese in materia di strategia, consulenza, formazione e servizi nel campo del marketing e delle vendite, di consulenza industriale e finanziaria in genere, compresa la ricerca di fonti di finanziamento per progetti aziendali.

Moscetti, come abbiamo già anticipato, è stato amministratore delegato e direttore generale di Amplifon spa, azienda leader mondiale nella distribuzione e applicazione di apparecchi acustici e dei servizi correlati. Grazie alla sua collaudata esperienza, è riuscito a consolidare la leadership mondiale dell’azienda espandendo la presenza del brand a livello internazionale e allargando il business in nuovi mercati.

Per queste ragioni l’intervista parte proprio da questa esperienza di successo, comparandola con la situazione delle medie aziende italiane e delle imprese familiari, evidenziandone le difficoltà a livello culturale nel passare ad una gestione manageriale adeguata. Una gestione, che raccomanda il manager italiano, dovrebbe essere su base meritocratica e non affettiva, come spesso avviene nelle aziende familiari.

E a tal proposito ci faremo suggerire esempi esteri virtuosi.

E’ raccontata anche la storia di come abbia gestito Amplifon e con quali risultati, svelandoci quelli che sono stati i segreti del suo successo. Tra i vari interventi ci confesserà di come la squadra di esperti di cui si è circondato, sia stato il suo vero punto di forza e come lo spunto possa essere di aiuto per le imprese familiari italiane.

Continueremo poi a discutere sul tema principale dell’intervista che riguarderà il fenomeno del ricambio generazionale, Moscetti ci descriverà i principali problemi da affrontare quando viene ad immettersi nella gestione aziendale una nuova generazione. Riepilogando la sua preziosa esperienza professionale, fornirà anche dei preziosi consigli alle aziende e agli imprenditori per oltrepassare i propri limiti, superare l’impasse ed imporsi sul mercato anche in fasi di crisi come quella attuale.

Moscetti infine ci illustrerà anche i vantaggi della quotazione, soprattutto in relazione ad una fase di crisi congiunturale come quella del 2008.

#amplifon#business#impresa#management#moscetti

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Buongiorno a tutti gli ascoltatori e benvenuti al podcast Inside Finance. Ho il piacere oggi di intervistare Franco Moscetti, fondatore di Axel Glocal Business, un’azienda specializzata in assistenza alle imprese in materia di strategia, consulenza e servizi nel campo del marketing e delle vendite, di consulenza industriale e finanziaria, compresa la ricerca di fonti di finanziamento. La sua precedente esperienza aziendale è stata quella di CEO del gruppo 24h. Franco Moscetti

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è stato precedentemente amministratore delegato e direttore generale di Amplifon SPA, azienda leader mondiale nella distribuzione e applicazione di apparecchi acustici e dei servizi correlati. Grazie alla sua collaudata esperienza, è riuscito a consolidare la leadership mondiale dell’azienda, sviluppando la presenza del brand a livello internazionale e allargando il business in nuovi mercati. Prima del suo ingresso in Amplifon, Moscetti ha ricoperto sia in Italia che all’estero

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in cariche di direzione manageriale di vertice in aziende del gruppo francese Air Liquide, leader mondiale nel settore dei gas industriali e medicali. Ha iniziato la sua carriera come venditore presso la filiale romana della Sio SPA, società per l’industria dell’ossigeno e di altri gas, diventando poi amministratore delegato di Vitalera SPA, azienda specializzata nei servizi di assistenza domiciliare, amministratore delegato di Air Liquide Sanità.

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e infine amministratore delegato di Air Liquid Italia. Attualmente si è dene C.D.A. di Gruppo OBS S.P.A. in qualità di Presidente, Fideoram Investimenti S.G.R., società del gruppo Intesa San Paolo S.P.A. in qualità di Vicepresidente, Gruppo A.S.T.M. S.P.A. in qualità di Vicepresidente, e inoltre i consigliere di Diazorin S.P.A., Zignago Vetro S.P.A. e Gruppo Pellegrini S.P.A.

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dei vantaggi della quotazione e del superamento di una fase di crisi congiunturale come quella del 2008, analizzando il caso di Amplifon e la sua utilità per la situazione attuale e per il prossimo futuro. Benvenuto quindi a Franco Moscetti e grazie della tua partecipazione. Iniziamo con la prima domanda. Perché con una così vasta esperienza hai scelto di raccontare il caso Amplifon e quali le differenze con le tue esperienze pregressi in grandi aziende?

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Beh, intanto grazie per l’invito. Il caso amplo perché è stata sicuramente l’esperienza più significativa dal punto di vista professionale. Un’azienda nella quale per la prima volta ho fatto il numero uno del gruppo in quanto tale. In precedenza avevo fatto il numero uno di un paese, di una divisione, ma non avevo mai gestito un’azienda a 360 gradi. Un’azienda quotata.

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un’azienda che aveva due signore all’epoca azioniste che ringrazierò sempre di averle incontrate nella mia strada e quindi un’azienda che pur essendo quotata aveva ancora un imprinting di carattere personale e le signore avevano una grande maggioranza delle azioni della società che ovviamente era già quotata da qualche anno ma che aveva la necessità di passare

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da un modello diciamo così di carattere aggregativo a un modello di carattere integrato e ovviamente immaginando che la presenza in borsa alla quotazione fosse lo strumento per darci le risorse finanziarie necessarie a finanziare appunto un grande progetto di sviluppo che le due azioniste mi hanno fatto gestire.

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direi con tutta l’autonomia necessaria, difendendomi anche in alcuni momenti nei quali, mi riferisco soprattutto al 2008, dopo la crisi del subprime, che alcuni ricorderanno, sembrava appunto che il mondo si fosse messo d’accordo per dare bastonate sulle ginocchia tutte le aziende, che in quel momento poi erano magari un pochino più indebitate degli altri e quindi poi aver lasciato l’azienda.

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in mani sicuramente molto sicuri, avendo avuto io il privilegio di poter in qualche modo selezionare il mio successore, i risultati gli stanno dando sicuramente ragione, è stata un’entusiasmante cavalcata che mi porterò dietro come ricordo per tutto il resto della vita, questa è la ragione per la quale ho scelto Ampo.

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Grazie molto Franco, ora prima di entrare nel dettaglio del caso specifico, quale secondo te il potenziale e le problematiche delle medie aziende in genere rispetto a quelle più grandi? Guarda il tema delle medie aziende è un tema vecchio, nel senso che io avevo i calzoncini corti, si parlava della struttura del capitalismo italiano basato soprattutto sulle piccole e medie aziende.

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Purtroppo devo dire che ho i capelli bianchi e nel frattempo non è stato fatto niente per cercare di far aggregare queste piccole e medie aziende affinché sui mercati internazionali potessero in qualche maniera competere allo stesso livello di altre realtà che viceversa hanno avuto la possibilità di svilupparsi di più e meglio. Pensate soltanto al rapporto Italia-Francia per quello che riguarda…

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diciamo il nostro Made in Italy che loro chiameranno il Made in France, hanno gruppi tipo LVMH, Piuttosto che Pino, eccetera, che sono n volte superiori ai nostri Armani, Dolce & Gabbana, eccetera, eccetera. Purtroppo la caratteristica dell’Italia è una caratteristica di essere molto bravi a livello individuale, un po’ meno bravi a livello sistemico, come tu hai detto nella presentazione.

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io ho passato tantissimi anni in un gruppo francese e devo dire che così generalizzando e sapendo di farlo a livello individuale noi siamo molto più bravi dei francesi. Però perché vincono? Perché loro vincono in maniera sistemica cosa che viceversa noi non siamo capaci di fare. Questo purtroppo spesso porta le aziende ad essere preda di chi viceversa ha già metabolizzato

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questo aspetto, porta anche le aziende ad avere dei problemi perché non avendo, non essendo gestite con l’apertura necessaria, ancora la quotazione in borsa viene vista come una sorta di maledizione, tra virgolette, ovviamente il fatto che il proprietario, l’imprenditore, il fondatore dell’azienda debba in consiglio di amministrazione.

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e confrontarsi con altre persone che non fanno parte della famiglia, lo vivono emotivamente parlando in maniera molto negativa. E questo fa sì che questo grandissimo patrimonio e grandissimo potenziale che come Paese potremmo esprimere, spesso e volentieri lo mettiamo a disposizione di altri. Io ho avuto la fortuna, tornando ad Amplifon, di trovare due azioniste, mamma e figlia.

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che viceversa intelligentemente hanno deciso di fare le azioniste dando al management, non solo a me evidentemente, anche a chi era prima di me e chi è arrivato dopo di me, la libertà necessaria per poter fare il capo azienda. Ovviamente hanno trovato dei capi azienda che ben consci della delega che il Consiglio gli aveva dato, l’hanno sempre utilizzata a tutto tondo, ma sapendo benissimo che poi

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oltre un certo limite bisognava andare in consiglio all’amministrazione, se non addirittura in assemblea per trovare il consenso necessario per realizzare progetti importanti e direi che i risultati si vedono perché oggi nel firmamento delle aziende quadrate a Milano una delle stelle del firmamento è sicuramente ampli.

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Ma a questo punto nasce spontanea la domanda. Quanto a tuo parere è difficile il rapporto tra management e azionisti nelle aziende familiari e soprattutto quali differenze vedi con le public company? Ma guarda, il rapporto tra l’azionista e il management dipende, come ti dicevo, spesso e volentieri dall’intelligenza di entrambi. Il manager deve capire che è manager e non è quindi imprenditore.

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perché la differenza sostanziale tra un manager, per quanto voglio dire, è imprenditorialmente evoluta rispetto all’imprenditore e che comunque l’imprenditore gioca con i soldi suoi, il manager gioca con i soldi degli altri, che non è una differenza da poco. Quindi io ho avuto la fortuna, credo, in quanto caratteristica individuale, di capire bene quali erano i miei limiti da manager, però avendo avuto la fortuna, la trettanta fortuna…

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trovare due imprenditrici che ovviamente hanno interpretato il loro ruolo da azionisti e intelligenti, ovviamente circondandosi poi il consiglio di competenze necessarie, di profiti necessari e quanto altro necessario per poter creare una storia di successo, è cosa che è avvenuta. Spesso invece succede che, come dicevo prima, gli imprenditori vogliono fare i managers e i managers vogliono fare gli imprenditori. Ecco questo.

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porta sicuramente dei disastri, perché non è possibile, non c’è coerenza né di ruolo né di comportamento. Però quando si trova la formula giusta, come è stato appunto il caso di Antrimo, come ho già detto più volte, i risultati si vedono.

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Quindi Franco, a tuo parere è anche una questione culturale, nel senso che spesso l’azienda familiare non ha ancora la cultura adeguata per passare a una gestione manageriale, ma a tuo parere c’è un percorso che suggerisci qualcosa che porti le aziende familiari a quell’illuminazione un po’ che ha avuto il caso Amplifon e che ha permesso una delega manageriale efficiente?

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Qualcosa che possono fare le aziende per imparare questo percorso necessario per la crescita? Ma guarda, Vincenzo, come dicevi tu è soprattutto un fatto culturale, un fatto se vuoi anche familiare. Tu pensa quanti imprenditori che magari hanno più figli e poi cominciano a crearsi il problema, ma se a uno gli do la responsabilità dell’azienda poi l’altro se lo prenda male.

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ma poi c’è uno che lo faccio direttore generale, l’altro devo fare CFO piuttosto che direttore operativo di qualche altra cosa. Ecco purtroppo questi ragionamenti oggi non vanno più bene, perché i mercati sono sempre più difficili, l’arena competitiva è sempre più aggressiva e quindi anche nel rapporto diciamo di passaggio generazionale ovviamente gli imprenditori in questione…

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dovrebbero portare avanti un ragionamento meritocratico e non affettivo. Non è facile, non è semplice, perché comunque un imprenditore che ha nato l’azienda, che comunque l’ha sviluppato in modo importante, lo sente come sua, lo sente come un bambino e quindi prova tu a dire a un padre come deve gestire il bambino mettendolo in mano a terzi. Cioè è evidente che sul piano emotivo questa cosa non funziona.

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sarebbe stato bello che il governo avesse preso delle decisioni cercando di facilitare appunto aggregazioni importanti, magari dando vantaggio fiscale, magari creando delle piattaforme comuni, magari mettendo a fatto al comune delle sinergie importanti che possano esistere. Però ti ripeto, questo è un discorso molto vecchio con il quale però ad oggi nessuno

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in maniera importante. Ti faccio un esempio che non è un ragionamento di merito, è solo un esempio. A un certo momento, molti anni fa, se fosse il 1995 o giù di lì, in Italia ci si rese conto che noi avevamo troppe banche e di troppo piccola dimensione. Questa legge

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sono stati creati poi colossi come Unicredit, Banca Intesa ed altro. Quindi io credo che bisognerebbe passare dalle parole ai fatti e quindi trovare delle soluzioni, trovare delle proposte che in qualche maniera semplifichino le aggregazioni. Per esempio c’è anche un aspetto di carattere sindacale nel senso che come tu sai le persone, le aziende che hanno…

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fino a 15 dipendenti che non hanno la representanza sindacale, oltre 15 dipendenti è obbligatorio. Anche qui io non dico se è giusto o sbagliato, lo aspetta a me fare il giugno, però molti imprenditori hanno paura di questo aspetto e quindi preferiscono avere aziende da 15 dipendenti piuttosto che una da 75. Ecco, bisogna mettersi intorno a un tavolo, analizzare puntualmente la cosa e come dicevo prima

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come è già stato fatto per le banche, magari facendolo meglio, vista la precedente esperienza che comunque ha aiutato, trovare qualcosa di simile anche per le piccole e medie imprese. Se tu consideri che in Italia sostanzialmente non esiste una public company, esistono evidentemente aziende in cui l’azionista, per esempio mi riferisco alle grandi aziende anche pubbliche, hanno la maggioranza delle azioni.

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hanno comunque una partecipazione molto molto molto significativa e quindi tutto il resto è in mano ad azionisti di maggioranza e lasciami dire che sempre sul piano culturale spesso gli imprenditori italiani pur quotandosi non hanno ben chiaro in testa qual è la differenza tra un’azienda di cui tu sei proprietario e un’azienda che

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hai quotato pur mantenendole la maggioranza delle azioni. Cioè quando tu vai in borsa è chiaro che scatta un corgi di autodisciplina, evidentemente chi mette soldi nella tua azienda deve avere le opportune caranzie, evidentemente con le liste di minoranza oggi le minoranze vogliono entrare in Consiglio d’Amministazione giustamente e avere anche un controllo su quello che succede, come ti dicevo, tutte attività che l’imprenditore non stanno.

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generalizzando e sapendo che nelle generalizzazioni le minoranze vengono penalizzate, soffrono in modo importante. Grazie Franco, ma mi chiedo riguardo gli interventi normativi che suggerivi, hai in mente qualche esperienza all’estero che potrebbe essere utile? Beh sì, diciamo che io ancora una

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Io lavoravo in un gruppo, il gruppo Early Kids, che era una public company a tutti gli effetti. Ai tempi credo che l’azionista di riferimento fosse la casta del depò e di consignazione, che è la nostra casta deposi del Presidente, che non aveva più del 6% delle azioni. Quindi voglio dire, ma nel mondo anglosassone questa cosa è un fatto direi assolutamente normale.

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Il problema, come ti dicevo, è cercare di vincere a livello individuare, e i nostri imprenditori a livello individuare vincono qualunque competizione, e vincere viceversa a livello sistemico. E gli anglosastroni, i francesi in particolare, in maniera sistemica, sono decisamente più bravi di noi e più forti di noi.

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Grazie Franco, diciamo che rimaniamo fiduciosi sul prossimo futuro, magari crisi come quelle attuali possono essere uno stimolo in quella direzione o almeno ce lo auguriamo. A questo punto se sei d’accordo entrare nel vivo del caso Amplifon, ti voglio chiedere come è migliorata la situazione dell’azienda alla tua guida, quindi come l’hai trovata e come insomma ti sei mosso nei primi passi e con quali interventi e quali risultati?

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Guarda, l’azienda evidentemente era molto più piccola quando sono arrivato di quando l’ho lasciata. E non dimenticare che poi nel frattempo io comunque avevo superato almeno una crisi e mezza, sicuramente quella del 2007-2008 e poi anche la seconda ombata del 2011, giù di lì. Come dicevo prima…

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Amplifon aveva cercato di crescere nel senso positivo del termine in maniera un po’ disordinata perché comunque aveva comprato qualche azienda all’estero però ogni azienda aveva il suo brand, ogni azienda aveva ma neanche il layout di negozio nel senso che attraverso queste acquisizioni le aziende rimanevano con il loro brand, con i loro negozi eccetera eccetera e quindi

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era una situazione diciamo decisamente disomogenea, non aveva un’identità a zientare, a parte l’Italia dove il marchio Amplifon aveva sicuramente una visibilità, una nottorietà già importante. E quindi il lavoro è stato primo di in qualche maniera circondarmi di persone che condividessero un nuovo modo di vedere le cose, non è stato facile.

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perché all’inizio mi dicevano ma che ne sai tu che vieni dai gas, voglio dire, il mondo degli apparecchi acustici è un’altra roba, tu sei venuto qui a fare un’operazione di chillaraggio aziendale, perché la mia filosofia era quella di dire guardate che qui bisogna cambiare perché in futuro non avremo successo con i stessi metodi del passato perché il sistema competitivo futuro sarà diverso dal passato e quindi insomma…

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Tu mi insegni che tra le altre caratteristiche del nostro italico paese il cambiamento è sempre vissuto come un fatto traumatico e quindi convincere questa gente che bisognava cambiare non è stato facile. Ragione per la quale io in due anni e mezzo, forse neanche tre, ho cambiato tantissimi, ma proprio tantissimi, managers nelle posizioni chiavi affinché ovviamente…

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potessi formare una squadra che condividendo quello che stavo facendo poteva sicuramente aiutarmi nella implementazione della mia progettualità. Io parto da un presupposto che nessuno realizza un grande cambiamento o un grande progetto da solo. Ha bisogno di essere un leader riconosciuto da una squadra e la squadra evidentemente riconoscendoci nel proprio leader normalmente…

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una performance migliore rispetto a quello che farebbe nella propria individualità. E quindi abbiamo iniziato almeno 50 cantiari, il cantiare del brand, il cantiare del negozio, il cantiare delle risorse umane, il cantiare dell’integrazione, il cantiare dei sistemi, perché ovviamente quello che io cercavo di fare era una cosa totalmente diversa dal precedente in termini di modello organizzativo.

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molto più moderna era la mia visione rispetto a quella che ho trovato e anche perché io avevo un sogno. Il mio sogno era quello di trasformare Amplifon in quello che Lux Optica era già riuscito a fare nel settore degli occhiali. Questo era il mio sogno. Non a caso in consiglio d’amministrazione era presente anche Andrea Guerra.

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che era l’amministratore del Cato di Cusoltia e altre personalità molto importanti perché comunque io diciamo ho cercato di utilizzare anche il Consiglio di Administrazione d’accordo con le due azioniste di cui ho già parlato come centro di competenza che mi potesse aiutare nella realizzazione di questo progetto. Poi le cose sono andate bene per un certo periodo di tempo. È arrivata la crisi…

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del 2007, non facile da superare, soprattutto diciamo il 2008, perché era il terzo Q del 2007, anche perché nel frattempo io avevo realizzato un’acquisizione in Inghilterra che sembrava essere riuscita a fare una sorta di magia, ma viceversa con l’arrivo della crisi del subprime e tutte le conseguenze negative del caso, il signor Tony Blair con il quale stavamo lavorando.

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per privatizzare i primi 200.000 pazienti per loro, clienti per noi, del sistema salinario nazionale sugli 800.000 che avevano in carico, ha passato il testimone a Gordon Brown e Gordon Brown ha detto basta privatizzazione, dobbiamo dare gratis tutto a tutti, immagina tu quanto poteva essere facile competere con un mega concorrente che dava gratis quello che noi facciamo pagare 1.000-1.500 australini.

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Tocco anche lì, rimboccate le maniche, evidentemente rimesso le cose a posto, 2008 è stato il mio anno orribile, se dovessi cancellare un anno dalla mia storia professionale, cancellerei il 2008. Nel 2009 però le cose hanno ricominciato a marciare grazie anche ai sacrifici che tutti i dipendenti hanno fatto ovviamente e nel 2010, fine 2010, facevamo all’epoca l’acquisizione più importante che era mai stata fatta.

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diciamo nel settore degli apparecchi agustici comprando contemporaneamente il leader dell’India, dell’Australia e della Nuova Azzelata. Oggi quella acquisizione non è più la più importante, perché il mio successore Enrico Vita ne ha fatta una diciamo in Spagna e alcuni paesi collegati alla Spagna che è sicuramente più importante di questo. Procedendo però in un solco ovviamente che è quello comunque di continuare a vedere…

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le opportunità che si presentano a livello internazionale per poterne approfittare nella migliore maniera possibile. Quindi, dopo, ovviamente, le cose buone tirano le cose buone, le cose cattive tirano le cose cattive, quindi il fatto di avere arricchito l’azienda di questi nuovi mercati, questi nuovi mercati alcuni hanno portato nuove competenze e ovviamente arricchendo quindi anche gli altri paesi che gestivamo in precedenza.

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e portando poi a compimento tutte quelle attività, quei cantieri come li ho definiti prima, sicuramente 2011, 2012, 2013 è stata una cavalcata di successo, poi io sono uscito operativamente nel 2015, anche a ottobre del 2015, anche se sono rimasto come vicepresidente non operativo fino all’aprile del 2016.

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Però ecco, questo è stato possibile perché la governance di Ampliqon, la governance basata su degli azionisti, che facevano gli azionisti? Dei manager, che facevano dei manager? Con un confronto sano, trasparente, etico tra le due realtà, perché è chiaro che nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro. Il manager poteva avere tutte le idee che voleva, ma se poi non andava in consiglio a creare consenso.

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e il consenso voleva dire poi anche i finanziamenti necessari per realizzare un bel progetto, il manager non sarebbe andato da nessuna parte. Io ci ho già detto prima che ho avuto la fortuna di trovare due azionisti, peraltro di due generazioni diverse, perché madre e figlia, ma alla quale sono rimasto anche una poveretta morta, ed ho sentito molto evidentemente la sua scomparsa. L’altra la figlia con la quale sono rimasto…

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in ottimi rapporti e che sta procedendo sulla stessa linea che c’era prima anche quando c’era la mamma, persone non facilmente incontrabili nel panorama della business community sicuramente italiana, forse anche internazionale.

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Franco, mi chiedo, la governance di questo tipo, ideale, ha fatto in modo tale che sei riuscito a raggiungere quel sogno che avevi in mente di seguire il modello luxottica o sei riuscito solo parzialmente? Ecco, raccontaci di quel sogno come è andato a finire. No, è andato a finire bene nel senso che come dicevo oggi l’azienda, ovviamente grazie alla professionalità e alla competenza del mio successore.

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della sua squadra attuale, sempre ovviamente considerando il rapporto con il profilo di azionista di cui ti ho già parlato più volte, sta andando in quella direzione. Oggi amplifono, io l’ho lasciata presente in 22 paesi con 3500 negozi e 11.700 dipendenti, credo che oggi vado a memoria perché non ho dato puntuale ma sarà…

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sicuramente in 28-29 paesi, 5000 negozi, i dipendenti saranno arrivati a 16-17 mila. Quindi la strada è quella. Chiaramente va considerato che due aspetti. Primo, che Luxottica comunque ha iniziato una trentina d’anni prima di noi questo percorso, quindi recuperare 30 anni non è facile. Secondo c’è un altro aspetto, che è un aspetto proprio strutturale.

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Allora, tu sei molto più giovane di me, ma quando io ero ragazzino, chi aveva gli occhiali veniva bullizzato, nel senso che comunque il fatto di presentarsi con gli occhiali da vista voleva dire avere un problema, no? Che è un po’ quello che succede oggi a chi viene visto ad un apparecchio acustico. Poi dopo l’industria degli occhiali, che si è consolidata al di là di luxottica,

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molto prima della nostra, ha fatto quegli investimenti di meglio lungo periodo, per cui oggi anche se hai degli occhiali da vista, come me per esempio, io poi ho comprato degli occhiali con una montatura a Rayman, quindi li considero quasi non un medical device, ma qualcosa per aggiustare il mio look, pure risolvendo un problema di vista importante ovviamente. Ecco, il tema è che gli arpadetti agustici non sono ancora a questo livello.

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purtroppo il tasto di penetrazione degli apparecchi acustici, nonostante gli sforzi che si stanno facendo, è ancora intorno al 20%. Quindi vuol dire che su 100 persone che avrebbero bisogno di prendere un apparecchio acustico soltanto 20 vanno in un centro, che sia di Amplifono o di altri poco importa, ovviamente da questo punto di vista, e quindi c’è ancora molto da fare perché tu capisci il problema.

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degli occhiali credo che abbia un tasso di penetrazione del 100%. Cioè se tu hai un problema di vista non hai un problema a comprarti gli occhiali perché sennò dimostri un handicap a qualcun altro. E tu immagina che se dal 20% si passasse al 100% vorrebbe dire che la dimensione globale del mercato è aumentata di 5 volte. E quindi immagina tu quanti maggiori ritorsi, quanti evidentemente fatturati e quanti anche…

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ulteriori risorse da mettere a disposizione per attività che poi sconfinano anche nel sociale per certi aspetti, no? Perché sia che tu ti metti gli occhiali, sia che tu fai ascoltare una persona che prima aveva problemi di udito, dai comunque un contributo socialmente rilevante. Sì, credo Franco, ma non so se sei d’accordo che il mondo degli occhiali ha il vantaggio del design e dell’estetica.

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purtroppo credo che gli apparecchi acustici faticheranno a diventare qualcosa di trendy o cose di questo tipo. Credo però che potrebbero essere più chiari i vantaggi di un udito perfetto perché magari quell’80% si accontenta di un udito non perfetto perché non sa i vantaggi di avere la possibilità di completare insomma la gamma degli effetti acustici e sonori.

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Vincenzo, scusa se ti dico che non sono totalmente d’accordo con questa tua affermazione, la gente dimentica che nel settore degli apparecchi agustici si è passati dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale. La tecnologia digitale vuol dire micronizzazione degli apparecchi, quindi tu oggi puoi fare un apparecchio che può sembrare un orecchino, lo puoi mettere nella gravità auricolare che non lo vede e non lo sente nessuno.

31:00

diciamo che il problema che è rimasto da risolvere, ma non soltanto in questo settore, ma comunque in particolare in questo settore, è di avere delle batterie che da un lato siano estremamente piccole, perché chiaramente la batteria occupa spazio, ma che dia poi un’autonomia sufficientemente importante per non stare tutto il giorno e cambiare batterie e subbatterie. Quindi il tema vero è che anche l’apparecchio acustico…

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nel medio periodo diventerà, come è già per gli occhiali, come giustamente dicevi tu, qualcosa legato all’estetica o quanto altro. Anche perché ti faccio una domanda. Per quale motivo tu ti dovresti stupire di uno che ha un apparecchio acustico che non vede nessuno o che comunque può essere anche esteticamente carino e non ti stupisci quando vanno in giro con quelle orribili cuffie per ascoltare la musica dell’iPhone o comunque dell’iPod o dell’iPad o non so ben nemmeno che c***o.

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Il problema dello stigma, gli occhiali lo hanno risolto e lo hanno risolto molto bene. Secondo me, in tempi più rapidi, ma evidentemente ancora sufficientemente lunghi, perché l’altra cosa che devi considerare Vincenzo, è che l’età media di chi prende un apparecchio acustico è 65 anni. Se tu prendi il 65 anni di oggi, non gli viene in mente l’apparecchio digitale.

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in mente quella orribile a scatola bianca agli ad orecchio che fischiava anche un po’ la prossima generazione non sarà così la prossima generazione sarà gente che ha passato tutta la vita tra email e qualche cosa eccetera eccetera che sarà comunque diciamo digitalmente evoluto e quindi questo fa presupporre che poi ci sia uno scatto in senso positivo del tasso di penetrazione di questi apparecchi molto importanti

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avvantaggio sicuramente delle aziende che ci operano ma anche avvantaggio delle persone che non avranno più un problema o che comunque non affronteranno un problema per paura di dimostrare a Terzi l’handicap che c’aveva. Sì, diciamo che credo che cambiare i comportamenti, le abitudini, ovviamente sia un processo lungo, sono d’accordo con te.

33:17

Credo anche che le discoteche abbiano fatto molti danni ai nuovi giovani, quindi penso che purtroppo il tema si presenterà alle future generazioni prima dei 65 anni. Insomma stiamo a vedere. Credo pure che il grande tema delle batterie è trasversale sul mondo dei telefonini, delle auto elettriche, credo sia la sfida più grande del prossimo futuro. È così. È esattamente così.

33:47

Quindi grazie insomma allo scambio di opinioni, caro Franco, ti volevo chiedere, torniamo un attimo all’anno orribile, mi dispiace tornarci ma è utile perché non so come la vedi tu ma vedo delle analogie con il contesto attuale. Certo, è un problema, la vita è fatta di successi ma anche di qualche insuccesso quindi, non è che quando le cose fanno bene è merito tuo, quando le cose fanno male è colpa di qualcun altro, sarebbe troppo facile, questo lo fanno i politici italiani, io non sono un politico.

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Concordo, poi insomma mi piace vedere la crisi insomma come un’opportunità soprattutto di stimolo normativo. Ti volevo chiedere, ma a tuo parere nel 2008 la crisi finanziaria ha comportato che l’azienda quotata avesse un vantaggio dalla quotazione oppure è stata una complicazione, quindi la volatilità sui mercati finanziari, l’accesso alle fonti di finanziamento, ecco penso che sia utile capire…

34:40

se è più vantaggioso superare una crisi azienda quotata o meno? Ma guarda, il tema è che io sono per la quotazione, sono per la quotazione perché quello che va visto o che va dato è un giudizio complessivo, non può essere un giudizio puntuale su un aspetto specifico. Se noi non fossimo stati azienda quotata, i finanziamenti per fare quella mega operazione del 2010 tra l’Australia, Nova Zelanda eccetera, non l’avremmo mai portati a casa.

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Certo, nel momento in cui c’è la crisi, il fatto di dover incontrare gli analisti, gli investitori ogni tre mesi e chiaramente nel momento in cui questi vedono che il valore del titolo sta scendendo è una situazione che non augura a nessuno, io l’ho visto in prima persona. Però sai che cosa c’è? Che questo stimola anche ragionamenti diversi, perché per esempio noi…

35:35

per fortuna se tu vuoi, un po’ per competenza, un po’ anche per intuizione, metti quello che ti pare a te. Però io perché nel 2008 poi non ho avuto, almeno dal punto di vista di finanziamenti, più problemi rispetto a quelli che ho realmente avuto? Perché noi la proposizione, per esempio, in Inghilterra l’abbiamo fatta attraverso un private placement sul mercato americano, da 180 milioni di dollari.

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il private placement è un bond sottoscritto da grandi investitori istituzionali, Signia, American Express, eccetera eccetera. Se quell’indebitamento lo avessimo fatto con le banche, sicuramente io stavo qui a raccontarti tutta altra storia, perché nel momento in cui la banca avesse chiesto il rientro di 180 milioni di dollari dalla mattina della sera, evidentemente non ce l’avremmo fatta. Mentre invece con questo sistema, quindi,

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andare sul mercato del capital market come viene detto in gioco, nel fatto di aprire sia fonti di finanziamento diciamo diverse, ho fatto sì che gli investitori americani mi chiamassero una volta ogni due mesi e io andavo e mi dicevano, Mr. Mocchetti come sta di salute? Bene, ma al di là di come vanno le cose? Le cose stanno andando secondo i suoi programmi oppure no? E io sì perché spiegando evidentemente, argomentando eccetera eccetera, ok fine.

37:05

ci vediamo tra due mesi, capito? E quindi questo ha dato poi la possibilità di risolvere un problema. Quindi il tema che voglio dire è che la quotazione è uno degli aspetti, ovviamente hai dei vantaggi, hai degli svantaggi, perché devi comunque rendere conto, sempre e comunque, di quello che fai. Però poi i mezzi con i quali finanziarsi, anche qui bisogna uscire.

37:30

da quello che è una buona caratteristica del sistema italiano, oggi sempre meno per la verità. Io ti sto parlando già di 12 anni fa, quindi ne è passata di acqua sotto i ponti, però il tema è di arrivare a forme di finanziamento che non siano bancocentrici, perché fino a qualche anno fa ti servivano i soldi e ti domandavi in banca. Se la banca te li dava bene, se la banca non te li dava, arrivederci e grazie. E ovviamente nei momenti di crisi la banca ti chiedeva rientro e questo creava delle difficoltà enormi.

38:00

il concetto di venture capital per quello che riguarda le start up, il concetto appunto di private placement, sono concetti che non hanno più di 10-15 anni in termini di diffusione in Italia, non è che prima non esistessero, esistano da tantissimi anni, però in Italia non erano così diffusi, oggi vice-vezza mi sembra che il mercato finanziario offra svariate possibilità e queste svariate possibilità…

38:28

ti danno anche la possibilità di superare eventuali momenti di crisi in maniera un pochino più fluida rispetto a quello che sarebbe successo, avendo soltanto come riferimento la banca, perché la banca ha le sue esigenze, poi anche lì si mettono Mifid 1, Mifid 2, Mifid 3, Mifid 4, adesso non so a quante Mifid saranno arrivati, quindi è facile parlare male delle banche, ma anche lì generalizzando e sapendo di farlo.

38:57

anche loro devono fare il loro messiere? Sì, concordo che sicuramente la chiave è una maggiore finanzializzazione, è un accesso ai listini maggiore, insomma credo che ci sia un trend in atto, ma forse ancora troppo lento. Credo che molto faccia parte anche della cultura e appunto del ricambio generazionale di cui stiamo parlando. Spero di vederti d’accordo. Ma ti volevo chiedere quali insegnamenti o spunti di riflessione puoi trarre da questa esperienza?

39:24

e soprattutto quale è l’utilità a tuo parere di questa esperienza per aziende italiane con difficoltà a crescere?

39:33

Ma guarda allora diciamo che io di insegnamenti ne ho avuti più di uno. Il primo, come ti ho già detto, è che si parla sempre male delle aziende familiari, ecco però se la crisi del 2008 io l’avessi affrontata all’interno di una public company, ancora una volta qui non stavo qui a raccontarti la storia che ti sto raccontando. Avendo avuto questi due straordinari azionisti, viceversa loro vedevano quello che stavo facendo.

40:01

come lo stavo facendo eccetera eccetera e mi hanno detto lei non si preoccupi, vada avanti. Cosa non semplice perché io stesso un paio di volte ho detto ma forse vi conviene cambiare l’amministratore del grado così date anche una dimostrazione, una disruption. No no no lei non si preoccupi perché vediamo quello che sta facendo e vada avanti. Quindi queste tanto vituperate aziende familiari anche se sono quotate come dicevamo.

40:29

alla fine nei momenti di crisi, avendo degli azionisti intelligenti come l’ho avuto io, aiutano, sono un vantaggio, c’è proprio da fare. Quindi questo è un insegnamento importante. Poi sai, per quello che riguarda gli altri aspetti, io devo dire che in borsa bisogna andarci, andare in borsa non è uno sport. Anche qui…

40:58

e le mie due azioniste non sono andate in borsa per fare cassa e quindi per mettersi in tasca una parte importante, diciamo dei sacrifici fatti dal fondatore, da loro stessi eccetera eccetera, ma per cercare le risorse per finanziare un piano di sviluppo importante. Quindi la colazione in borsa è legittimata da un piano strategico che tu devi aver chiaro in testa, altrimenti diventa soltanto un obbligo, diventa soltanto un vincolo.

41:27

non ti dà quel follow up positivo che viceversa sta cercando. Per esempio vale lo stesso discorso anche per quanto riguarda le acquisizioni. Cioè tu non puoi comprare un’azienda e dici va beh compriamo un’azienda. No, tu lo devi comprare perché che cosa compri? Comprirai una porta di mercato? Comprirai un brevetto? Comprirai una licenza? Comprirai… che cos’è che compri? E come lo integri poi insieme al resto dell’azienda?

41:56

perché che sia chiaro una cosa Vincenzo, comprare un’azienda è un messiere, integrare la stessa azienda nel resto del gruppo, immaginando di estrarne il valore atteso che ha legittimato l’acquisizione è un messiere completamente diverso, quindi tu non solo devi essere bravo a negoziare, ma nel momento in cui ha finito la negoziazione è lì che comincia il problema.

42:24

perché a quel punto devi integrare l’azienda, come ti dicevo, per il sane. E quanti aziende sono andati in crisi nel cercare di integrare un’acquisizione fatta con criteri che poi non si sono realizzati? Quindi gli insegnamenti che io ho ricevuto in questa esperienza, anche considerando il periodo storico nel quale ho avuto la possibilità di farla, sono innumerevoli, ce ne sono tanti. Però ti ripeto, quello più importante

42:54

sicuramente nel sano rapporto azionista management, quello mi sembra che sia l’aspetto prioritario. Caro Franco, non sai quanto mi interessano queste cose e quanto stare a lungo a domandarti e a migliorare la mia cultura a riguardo, ma purtroppo il nostro format prevede insomma un tempo limitato, quindi sono costretto a farti…

43:17

una selezione, quindi le ultime due domande che mi vengono in mente. Poi magari ritorniamo in una seconda occasione.

43:28

Le ultime due domande sono se dovessi avviare una nuova impresa sceglieresti l’Italia e per quale motivo? E la seconda domanda è i tuoi suggerimenti per i giovani aspiranti manager e imprenditori italiani. Ma guarda io sono italiano fino al midollo quindi soffro per avere un unico figlio che ha abbandonato questo paese, vive in California e io lo vivo non solo come una sconfitta.

43:57

non dico personale, ma come rappresentante di una generazione di classe dirigente che probabilmente non ha fatto niente per le generazioni successive e quindi le generazioni successive in un mondo molto più aperto, molto più globale eccetera eccetera non è che hanno l’obbligo di lavorare nel paese dove sono nati, ma cercano alternative valide in giro per il mondo e questo per me è un dramma.

44:27

ma un dramma ripeto da un punto di vista sociale, non di carattere familiare. Mi autocito, io faccio parte di un comitato di indirizzo di un osservatorio economico e sociale che si chiama Riparte l’Italia, che tra le sue attività Riparte l’Italia vuole dare suggerimenti da chi ne ha le competenze, le conoscenze, la formazione, eccetera eccetera.

44:55

a chi poi deve prendere certe decisioni, ma anche all’obiettivo di finanziare con delle borse di studio i migliori talenti universitari in modo tale che possano fare la loro specializzazione e immaginando con questo di dare un contributo alla selezione delle nuove classi dirigenti perché se la mia è fallita speriamo che quelle successive possano fare di più e di meglio, ma sicuramente non potranno fare di più e di meglio se scappano da questo prese e vanno all’estero.

45:25

Quindi è chiaro che io non riesco a immaginare di fare un’azienda fuori dall’Italia, però ti dico che creare un’azienda fuori dall’Italia mi renderebbe la vita molto molto molto più semplice che non farla in questo Paese. Questo è un Paese divorato dalla burocrazia, io ti potrei fare non so quante decine di esempi in tal senso, dove i dettagli formali sono molto più importanti degli aspetti veri,

45:54

sostanziali e dove poi in una incertezza di diritto, perché non sei mai sicuro di quello che fai, perché devi interpellare N e istituzioni diverse, in tutto questo magari per accelerare le pratiche un minimo di incremento dell’aspetto corruttivo bisogna anche a livello sistemico

46:24

Tu guarda quello che è successo con la ricostruzione del ponte di Genova e quello che succede normalmente per fare una qualunque opera pubblica. Evidentemente questo è un vulnus che ci sta divorando e che non ci sta assolutamente aiutando. Ai giovani che cosa dico? Beh dico innanzitutto di amare il proprio paese. Secondo di avere un senso di…

46:52

dovere nei confronti del proprio paese perché comunque chi studia nelle università, soprattutto pubbliche italiane, lo fa grazie al contributo di tutti i cittadini. È giusto che facciano esperienze all’estero perché imparare le lingue, confrontarsi con persone diverse, di cultura diversa, di abilioni diverse, di religioni diversi, di generi diversi fa sempre bene. Oggi quello che sono…

47:20

nel bene e nel male, non è un giudizio di merito, ma lo sono anche grazie a questa esperienza. Oggi si parla molto di diversity, io ho fatto un’esperienza dove mi sono arricchito della diversity immaginando che la diversity non sia soltanto un problema uomo-donna ma che sia la necessità, la possibilità di vivere in un mondo multiculturale, multietnico, multitutto qualche cosa.

47:48

I giovani devono diventare molto più imprenditori di se stessi, nel senso che ormai credo che il mito del posto fisso sia finito, il mito anche di stare in casa a spese della famiglia, uno deve guadagnare un po’ prima l’orgoglio del proprio spirito di indipendenza e di diventare autonomo il prima possibile.

48:14

Ovviamente la vita non regala niente a nessuno, quindi non bisogna eccitarsi troppo quando sembra che le cose vadano troppo bene, ma neanche deprimersi troppo quando le cose vanno troppo male, perché in un caso o nell’altro non dipende soltanto da noi. E comunque una cosa che io ho sempre cercato di evitare nel rapporto con i giovani è che facciano alcuni della propria incapacità a una ideologia.

48:43

Non è che se tu non arrivi da qualche parte è sempre colpa di qualcun’altro, no. Io sono l’esempio, ovviamente con i miei anni, con i miei capelli bianchi, con quello che vuoi tu, nato in una famiglia modesta, che è iniziato da viaggiatore e piazzista di seconda categoria, come tu hai ricordato all’inizio, che comunque pur mantenendo tutta la sua integrità, e forse oggi vengo riconosciuto più per quello che per la mia professionalità.

49:13

alla fine è diventato amministratore legato alla multinazia italiana, alla multinazia italiana, in un’azienda editoriale e siedi in N consigli di amministrazione. Certo, mi sono impegnato, ho studiato, mi sono sacrificato, ho impegnato molti sabbati, domeniche, giorni, notti, eccetera, anche perché volevo uscire dalla situazione alla quale mi avrebbero legato il mio posizionamento sociale in un piccolo paese che si chiama Tarquinia.

49:41

e alla fine ho visitato 68 diversi paesi del mondo, ho fatto esperienze di ogni genere, di ogni natura e che vuol dire che non è che questo siccome è stato valido per me è stato valido, deve essere valido per tutti, perché poi ognuno ha la sua capacità, la sua volontà, la sua forza eccetera. Ecco però stiamo attenti a dire che quando alcune cose non succedono è sempre colpa degli altri, del sistema, delle raccomandazioni e non so

50:10

Sono tutti temi veri, sono tutti temi con i quali bisogna confrontarsi, però io dico che, come si dice in inglese, never give up, mai mollare e se uno alla fine non molla ci metterà un po’ di tempo in più del dovuto, ma stai tranquillo che qualcosa di positivo arriva. Che bella storia, caro Franco, grazie moltissimo e a questo punto siamo costretti a chiudere.

50:40

tre bullet point finali con i tre messaggi che vuoi che siano ricordati dai nostri ascoltatori, tre cose più importanti a tuo parere da ricordare.

50:52

Le cose importanti da ricordare, visto che abbiamo parlato dei giovani, alcune le ho già dette nel senso che ricordiamoci che quando siamo giovani diventeremo maturi e poi anziani, ma che quando siamo anziani siamo stati con minimaturi e giovani, quindi evidentemente una relazione intergenerazionale secondo me è assolutamente fondamentale. Avere comunque grande fiducia in se stessi.

51:21

da quello che può sembrare il contesto di riferimento, immaginare che comunque se c’è una possibilità io ce la faccio, io ce la devo fare, anche se questo magari nel brevissimo non paga e poi ovviamente, ma questa è una cosa molto banale, come in tutte le cose ci vuole sempre un pizzico po’ di fortuna. Io ho avuto la fortuna prima di trovare un gruppo francese che mi ha formato in maniera assolutamente meritocrata.

51:50

Se andava bene mi lasciavano, se non andava bene mi mandavano a casa. Ho avuto la fortuna di trovare due azioniste che ovviamente mi hanno dato fiducia, anche in un momento in cui dare fiducia a un manager che stava portando avanti un progetto come il mio era l’ultima delle cose che probabilmente una persona, diciamo, normale avrebbe fatto. E oggi sono qui a raccontare questa storia, come ripeto, con tutta l’integrità necessaria, quindi anche qui non è vero.

52:19

per raggiungere alcuni risultati bisogna comunque vendere l’anima al diavolo. Io non l’ho mai fatto e non ho nessunissima intenzione di farlo adesso che ho i capelli bianchi. Quindi questi sono i tre messaggi fondamentali che io lascio in maniera, come ti dicevo prima, intergenerazionale perché ogni fase della vita ha delle sue specificità ma poi alla fine la vita di ognuno di noi ha sostanzialmente lo stesso percorso. Siamo tutti all’interno di una parampola, no? Andiamo, cresciamo, scendiamo.

52:48

Poi la parabola può essere più lunga, può essere più a picco, ma non dobbiamo mai dimenticare secondo me da dove proveniamo, come siamo arrivati e soprattutto non essere così egoisti da pensare sempre solo ed esclusivamente a noi, ma di pensare ai superiori interessi della nostra comunità all’interno della quale fare tutte le competizioni immaginabili e possibili basate sulla capacità.

53:17

di chi fa meglio e ovviamente facendo meglio ne riceve più vantaggi rispetto ad altri. Questa è la mia conclusione, vale quello che vale ovviamente perché non sono né un grande curo dell’economia, né un grande personaggio diciamo della business community internazionale, ma se io dovessi dare appunto tre consigli sono esattamente quelli che ho dato. Beh, caro Franco, mi colpisce molto la tua modestia che è molto apprezzata, una dote direi molto rara di questi tempi.

53:47

Posso dire che ovviamente sei stato chiamato oggi a riportare la tua esperienza, la tua visione, i tuoi suggerimenti per il futuro perché comunque sei un grande manager. E la questione è fuori discussione, non lo dico io ma lo dicono i numeri, la tua storia pregressa, professionale, i risultati conseguiti ma anche una grande persona a titolo personale e lo abbiamo visto dalla qualità di quello che ci hai trasmesso oggi. Quindi io ti ringrazio moltissimo.

54:15

per la tua partecipazione e per averci dato un messaggio così positivo che di questi tempi ce n’è un gran bisogno e mi auguro di rivederti presto come nostro ospite per raccontarci la tua nuova avventura. Grazie mille a Franco Moscetti e arrivederci a tutti al prossimo episodio. Grazie per l’ascolto di questo episodio.

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