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Il caso Sofinter e spunti per il futuro delle medie imprese per voce dell’AD Roberto Testore, ex CEO di Fiat Auto, Trenitalia e Finmeccanica

L’ospite di oggi è l’Ing. Roberto Testore.

Testore ha iniziato la sua carriera nel Gruppo Fiat nel 1976, finché nel ‘96 non è diventato Amministratore Delegato e Direttore Generale di Fiat Auto. La sua carriera professionale è poi proseguita in Finmeccanica, dove ha ricoperto la carica di Amministratore Delegato e Direttore Generale, dal 2002 al 2004, realizzando il processo di internazionalizzazione e incrementandone in modo significativo la quotazione nel mercato azionario. Nel 2004, inoltre, è stato nominato Amministratore Delegato in Trenitalia dove è rimasto fino al 2006.

Ad oggi, oltre ad essere Fondatore del Gruppo Fante, membro del CDA di alcune società italiane e di una società quotata Indiana, è anche Amministratore Delegato del Gruppo Sofinter, che opera a livello mondiale nel settore delle grandi caldaie industriali per la produzione di vapore.

Inizieremo la nostra chiacchierata proprio parlando della sua esperienza in Sofinter. Nel Novembre 2016, la società era in perdita, ma con l’arrivo del lungimirante Manager torinese, Sofinter ha registrato una crescita esponenziale e costante.

Grazie a questo esempio virtuoso avremo l’opportunità di paragonare e dunque meglio comprendere la situazione delle piccole e medie imprese italiane. E ne approfitteremo anche per evidenziarne non solo le potenzialità, ma anche e soprattutto le problematiche da risolvere.

Chiederemo a Roberto se e perché in Italia ci sono problemi con le fonti di finanziamento, e se siano relativi alla cultura del rischio delle banche o al disallineamento forte tra domanda e offerta fra finanziamenti ed erogazioni.

Ritorneremo poi ad indagare le strategie vincenti che hanno portato Sofinter a crescere superando la crisi che stava affrontando. Ci faremo spiegare di come si sia individuata la causa del problema che non permetteva di mettere a frutto il potenziale dell’azienda e soprattutto come si è operato di conseguenza.

Essendo un programma molto pratico sfrutteremo poi l’occasione per farci dare dei preziosi consigli: sia per le aziende che non riescono a svilupparsi, sia per i giovani imprenditori, manager e consulenti italiani.

Infine, ci faremo svelare quali sono le aziende in cui l’ingegnere sta facendo scouting, in relazione al settore e alle dimensioni, così da poterci rendere mettere in contatto chi ne avesse le caratteristiche.

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Buongiorno a tutti gli ascoltatori e benvenuti al podcast Inside Finance. Ho il piacere di intervistare oggi Roberto Testore, amministratore delegato del gruppo Sofinter SPA e precedentemente amministratore delegato di Trenitalia, Fiat Auto e Finmeccanica, oggi Leonardo Company, quindi una delle personalità più note prestigiosi nella gestione di grandi e medie imprese italiane.

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L’aureato in ingegneria meccanica inizia la sua carriera di manager nel 1976. Nel 1981 diventa direttore operativo del gruppo Unimorando, attivo nel settore della costruzione di impianti per la produzione di materiali per l’edilizia. Nel 1986 entra in Comao, società quotata controllata dal gruppo Fiat, leader nel settore dei servizi di produzione. In Comao, dopo aver ricoperto diverse posizioni, viene nominato direttore generale e amministratore delegato.

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Nel 1996 diventa amministratore delegato e direttore generale di Fiat Auto, dove, tra l’altro, guida il processo di globalizzazione, dando nuovo impulso al rilancio del marchio Alfa Romeo. I modelli 156 e 147 si aggiudicano il riconoscimento Car of the Year, rispettivamente nel 1998 e nel 2001. Sviluppa inoltre l’importante attività sicurativa, Toro e Targa, e finanziaria, Fidis, legate al mondo dell’auto.

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Dal 2002 al 2004 ricopre la carica di amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica, dove realizza il processo di inte e di rilancio aziendale, incrementando in modo significativo la quotazione del titolo nel mercato azionario. Dal 2004 al 2006 ricopre la carica di amministratore delegato Intra Trenitalia. Importante ricordare che durante questo periodo inizia il servizio dell’alta velocità in Italia. Nel 2008, insieme ad altri due soci, fonda Fante Group e Pantheon Italia.

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Fante Group è un gruppo di consulenze indipendenti che integra le competenze trasversali delle sue cinque società specializzate. Fante Group affianca le aziende del mid market creando partnership durature con l’obiettivo di risolvere problemi complessi e per il successo dei suoi clienti. È utile ricordare che oggi è anche membro tra l’altro del consiglio di amministrazione di Bonfiglioli e della società Endurance che è una società di componenti automotive di origine indiana.

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affronteremo oggi il tema della storia di Sofinter di cui Roberto è attualmente amministratore delegato con alcuni spunti riflessione sul prossimo futuro derivanti da questa esperienza. Il gruppo Sofinter è un protagonista nel mercato internazionale delle energie in cui opera fornendo impianti e componenti per la produzione di vapore per uso industriale, per la produzione di energia elettrica, per il trattamento e l’incendimento dei biciuti e per il trattamento dell’acqua.

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Con il marchio Macchi è leader mondiale nella progettazione e costruzione di caldaie industriali e di caldaie a recupero per cicli cogenerativi destinati a grandi complessi industriali di raffinazione, di processo, gas e petrol chimici. Benvenuto quindi a Roberto Testore e grazie per la tua partecipazione. Iniziamo subito con la prima domanda. Perché Roberto, con una così vasta esperienza, hai scelto di raccontare il caso Sofinter?

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e quali le differenze con le tue esperienze pregressi in grandi aziende? Prima di tutto il caso Sofinter è un caso che si attaglia molto bene all’attività di Fante. Come tu hai detto prima, Fante segue la ristrutturazione di aziende, il rilancio di aziende e Sofinter è esattamente uno di questi casi. Io ho scelto di parlare di Sofinter perché penso

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in questo momento storico del nostro Paese, in questa crisi che stiamo tutti vivendo, sia un caso emblematico di un gruppo di aziende con un notevole know-how che rischiava di andare perso, che rischiava di andare dilapidato, diluito nel nulla. Invece in Italia siamo particolarmente forti nell’attività impiantistica e quindi ho ritenuto giusto dedicarmi a questo e…

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raccontare a te e a chi ci ascolta quali sono stati i passaggi che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo con Sofì.

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Grazie Roberto, a questo punto prima di entrare nel caso specifico, a livello generale quale secondo te il potenziale e le problematiche delle medie aziende rispetto alle grandi? Indubbiamente il mondo delle medie aziende è molto particolare, l’Italia tra l’altro come tutti sappiamo è in un contesto a sua volta particolare perché noi abbiamo

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un grandissimo numero di medie piccole aziende e invece abbiamo poche grandi aziende. Questo è un problema del nostro Paese perché le grandi aziende sono l’elemento di riferimento delle piccole e medie aziende, sono le grandi aziende che hanno prevalentemente la possibilità anche finanziaria di sostenere dei grossi progetti di ricerca e sviluppo, sono le grandi

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assieme al sistema politico di riferimento, a impostare delle politiche di crescita e di sviluppo internazionale. Le piccole e medie aziende naturalmente non hanno questi mezzi, è difficile per loro riuscire a sviluppare questi progetti. Ecco quindi il fatto che in Italia le grandi aziende siano poche è sicuramente un handicap per le piccole e medie aziende. Di conseguenza…

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Il problema delle piccole e medie aziende è quello di supplire a questa mancanza, cercando di trovare autonomamente dei riferimenti o il modo di svilupparsi in maniera adeguata, sviluppando anche e utilizzando il know-how che è molto sovente e di grandissimo ridievo.

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Grazie Roberto, ma volevo chiederti il fatto che siano più piccole, magari le rende più snelle a livello manageriale oppure vedi che magari essendo imprese familiari c’è insomma una difficoltà di gestione anche derivante dagli azionisti che magari spesso hanno un ruolo un po’ invasivo all’interno delle scelte manageriali. Dici molto bene e certamente il fatto delle industrie familiari alcune volte è un problema rilevante.

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Prima di tutto c’è sovente in questi anni, in questi decenni, un tema di passaggio generazionale. La grande spinta imprenditoriale degli anni 60 e 70 ha portato molti imprenditori oramai ad avere un’età avanzata tale da dover pensare ad un passaggio che non sempre trova in famiglia.

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delle persone interessate o adeguate o in grado di rilevare l’attività che i propri genitori hanno inaugurato e hanno avviato. In secondo luogo, quello che manca spesso alle piccole e medie aziende è una cultura manageriale che lascia il posto, che è sottoposta e sottomessa invece a quella del no-audi prodotto. Mi spiego, nelle medie aziende italiane…

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Sovente per lo più, il know-how di prodotto è molto elevato. Si tratta di aziende che conoscono molto bene il proprio prodotto, che lo sanno sviluppare, che conoscono il mercato, ma che hanno delle carenze di tipo manageriale, non sono abituati a trattare con la finanza, hanno delle difficoltà ad impostare delle attività internazionali, ad uscire dal mercato italiano che…

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molto spesso non è sufficiente per uno sviluppo organico delle loro attività. E questo anche perché, a mio modo di vedere, manca in Italia una cultura diffusa della finanza aziendale. E fammi dire, mancano anche delle scuole che ha vino le persone.

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senza portarle a lauree prestigiosi di economia e commercio, quinquennari, eccetera, ma che diano loro gli strumenti più semplici, più basici per poter condurre un’attività industriale. Ma a tuo parere è solo una questione culturale sugli strumenti finanziari o manca proprio la linfa vitale che è la finanza? Cioè credi che il fabbisogno delle aziende oggi sia risolto?

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dalle banche, dai fondi di prevate equity, dalle possibilità di potazione? O credi anche tu che il problema vero è anche una difficoltà in Italia sulle fonti di finanziamento? E secondo te quale può essere la soluzione? Sicuramente c’è un problema che riguarda le fonti di finanziamento, ma direi che questo è un problema che c’è quasi ovunque nei paesi OX e nei paesi che ci sono più vicini. Da una parte c’è un’ingesatura burocratica.

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forte. Il nostro Paese e non soltanto il nostro Paese vede degli ostacoli burocratici, formali, complicati nel facilitare il dialogo tra le banche, tra i fondi e le imprese. Dall’altra parte c’è a mio modo di vedere un problema culturale come tu hai detto. L’imprenditore

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fondi o con le banche e a capire qual è il loro modo di ragionare. Dall’altra parte le banche e i fondi molto spesso fanno difficoltà a capire quello che dice l’imprenditore, quali sono i suoi veri problemi, a valutare anche quali sono le sue possibilità di successo. Una delle cose più importanti per le banche, per i fondi che devono decidere di erogare dei mezzi finanziari ad un’impresa

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è quello di capire quali sono le prospettive di quest’impresa. Se quest’impresa ha di fronte a sé delle chance notevoli di successo e di sviluppo, oppure se per una serie di motivi è in un vicolo cieco, perché i concorrenti oramai sono largamente prevalenti, perché il prodotto o il mercato sono in una fase discendente, quindi per molti motivi un’azienda può avere scarse possibilità di sviluppo, ma ancora…

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Di più sono i motivi per cui invece può avere forti possibilità di sviluppo, a prescindere se vuoi dalla situazione finanziaria di un’azienda. Mi spiego ancora dal punto di vista per esempio di Fante, noi analizziamo portafogli di aziende di UTP in questo periodo, è molto meglio ovviamente un’azienda con un buon know-how che vive in un mercato in crescita e con una concorrenza tutto sommato battibile, ma con una p***a.

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cattiva posizione finanziaria e con una cattiva situazione econ piuttosto che un’azienda in buona situazione econ ma che vive in un mercato in calo e con dei concorrenti molto agguerriti, contro i quali ci sono magari difficoltà insormontabili a battersi.

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Ecco, quindi io credo che sia un problema di cultura, di abitudine a parlare, di capire i problemi, il modo di ragionare gli uni degli altri, perché la liquidità oggi sul mercato è molto abbondante. Tu lo sai che ci sono grandi fonti di liquidità in questo momento disponibili.

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Ma nella tua esperienza vedi che tutta la liquidità di cui parli e che conosciamo viene trasmessa al circuito delle aziende più bisognose, oppure siamo in Italia e magari il grosso problema è anche la cultura del rischio. Non so se sei d’accordo che non solo sia un problema la cultura del rischio da parte specie delle banche, ma anche il disallineamento

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Ovviamente se la domanda di finanziamenti è così grande e l’erogazione è ancora riservata a pochi, le banche e gli altri istituti di finanziamento possono selezionare molto di più, ma il problema qual è? Tutta la fascia di aziende che non sono tre primi della lista. Guarda, prescindiamo in questo momento dalla situazione attuale. Naturalmente il covid e quanto

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è un fatto congiunturale fortissimo e quindi bisognerebbe entrare nel merito di una situazione contingente che non sappiamo quanto durerà. Parlandone in generale, le banche in questo periodo, soprattutto le banche italiane, sono oggetto di una sorveglianza di normative che arrivano dalla BCA molto stringenti e quindi come sappiamo le banche sono obbligate.

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ad ammortizzare quei certi versi i crediti che hanno nei confronti di aziende che non riescono a far fronte regolarmente ai propri impegni in tempi molto rapidi e questo comporta per le banche una necessità di ricapitalizzazione potenziale molto forte. Questo spinge le banche in questo momento ad esternalizzare portafogli di crediti nei confronti di medie piccole e aziende molto vasti.

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senza particolari selezioni. Che cosa fanno? Passano questi portafogli a servicer, cioè a enti, soggetti che gestiscono questi portafogli, essendo poi incentivati nel momento in cui riescono a portare le società in bonus, oppure li vendono accusando delle perdite a stato patrimoniale.

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ma con l’intento appunto di liberarsene. Questo perché? Perché la gestione di questi portafogli è complicata, è resa complicata dalla necessità, come dicevo prima, di capire qual è il posizionamento prospettico delle società. Se devo fare una considerazione un poco critica, con le banche nel corso degli ultimi anni, decenni, non si sono attrezzate ad arrivare a questa comprensione.

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Le banche e non solo loro badano agli aspetti economico e finanziario e patrimoniali che sicuramente sono fondamentali, sono importantissimi, ma non sono tutto. Gran parte del problema sta nel capire quali sono le prospettive industriali e operative di un’azienda. E le banche oggi come oggi per lo più non sono attrezzate a farlo.

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dubbiose, le rende incerte nell’affrontare determinate problematiche. Sofinter è una di queste, è esattamente andata in questo modo, le banche sovente non capiscono, cercano di intuire quali sono le prospettive, ma non sono in grado di assumere delle decisioni con sicurezza e quindi sovente stanno a guardare. Il tempo passa e le situazioni critiche, che magari potevano essere risolte prima, si vanno incancrenendo e vanno peggiorando.

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col passare dei mesi e degli anni. Ma hai anche degli spunti per i policy makers? Oppure se hai magari delle esperienze all’estero che potrebbero tornare utili? Guarda, sì, certo, io ho esperienze, ho maturato esperienze un po’ in tutto il mondo.

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lasciando naturalmente, non parlando di situazioni molto particolari come possono essere quella cinese, quella russa eccetera, se uno guarda al mondo anglosassone qual è la differenza a mio modo di vedere più marcata che si registra? Nel mondo anglosassone le aziende vengono finanziate all’80% dalla borsa.

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Da noi è vero il contrario, le aziende sono per lo più finanziate dal sistema bancario. Questa è una differenza fondamentale. In un Paese come gli Stati Uniti d’America, un imprenditore ha come proprio obiettivo quello di riuscire ad andare in borsa. Quindi avvia la propria attività, si prepara, fin dall’inizio studia come si fa ad arrivare alla borsa, a quotarsi, cerca di quotarsi nel modo migliore.

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monetizza dalla quotazione, se ha avuto successo naturalmente, una quantità di danaro che gli permette o di stare nella sua azienda, di continuare a svilupparla oppure di dedicarsi ad altre attività imprenditoriali. Da noi non è così, da noi la nostra cultura è diversa, l’imprenditore vive più che per la propria azienda, certo per la propria azienda, ma per il proprio prodotto.

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Quindi il nostro imprenditore suppone, perché questa è la storia del nostro Paese, che il sistema bancario lo sosterrà nella misura in cui lui riuscirà a sviluppare prodotti e mercati di successo. Il che è vero naturalmente, è ovvio che se il prodotto non è di buona qualità e non ha successo sul mercato, il sistema bancario non lo supporterà.

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però questo fa sì che lui si concentri in maniera quasi esclusiva su questo aspetto, tralasciando tutta una serie di altre circostanze che invece sono fondamentali, per esempio la patrimonializzazione delle aziende. E noto il fatto che l’imprenditore italiano, sovente, non patrimonializza le proprie aziende nei momenti di successo, non ha lasciato

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gli utili in azienda sotto forma di aumenti di capitale, ma non lo fa perché, certamente per motivi anche, diciamo così, del proprio benessere, della propria ricchezza personale, ma anche perché non lo considera fondamentale. Un imprenditore anglosassone invece sa che il ratio di patrimonializzazione nei confronti alle bid’à, nei confronti della posizione finanziaria sono di sostanziale importanza.

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per quotarsi e per avere successo come quotazione. Quindi cura questi aspetti fin dall’inizio. Questo secondo me fa la differenza. Quindi qual è così la speranza che si può avere, nel senso di un Paese ricco di Noao, con grandi prospettive industriali? È quello che il più rapidamente possibile questa cultura si modifichi, cambi.

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Gli imprenditori nuovi, le nuove generazioni di imprenditori entrino in un meccanismo di tipo diverso, in un modo di ragionare diverso che naturalmente renda i prodotti di meta sempre al centro dell’attenzione, ma che curi anche tutta una serie di altri aspetti e soprattutto che cerchi di capire il modo di ragionare dei soggetti che operano nella finanza. Ti faccio ancora un esempio.

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di trovare degli imprenditori che vogliono sviluppare la propria azienda o vogliono migliorarne una situazione critica e quindi ci chiedono di ricorrere ai fondi, agli equiti e ad altri soggetti che erogano finanza. Ma di nuovo non hanno la capacità di immaginare qual è la posizione di un fondo, siamo noi a dover spiegare che il fondo naturalmente

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erogasoldi non propri, ma di coloro che hanno sottoscritto il fondo e che quindi c’è da aspettarsi da un piano industriale molto ben fatto e ragionevole dei ritorni prospettici interessanti. Quindi non è che il soggetto che mette finanza nell’azienda si possa limitare a dare la finanza e ad aspettare risultati, ma vuole seguirla, vuole essere parte in causa.

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vuole partecipare alla realizzazione del piano. E l’imprenditore sovente ritiene di essere padrone a casa propria, quindi di avere diritto di non essere condizionato, di non dovere discutere quelle che sono le proprie tensioni di investimento e di sviluppo. E questo non perché i nostri imprenditori siano…

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meno peggiori o meno in gamba di altri, tutt’altro anzi, sovente lo sono di più, semplicemente perché non sono abituati a questo genere di ragionamento.

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Ma a tuo parere Roberto è una questione solo culturale, io mi riferisco al discorso della quotazione in borsa, quindi all’utilizzo dei mercati finanziari, quindi è una questione solo culturale o anche una difficoltà di accesso al mercato che poi, che io sappia, Borsa Italiana sta facendo un grande lavoro in quella direzione ma non è proprio semplicissimo e poi non è che tutte le imprese migliori accedono al mercato, anzi ci sono tanti casi in cui viene utilizzata.

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come forma di monetizzazione e non di crescita. Vediamo anche tante imprese italiane importanti che non sono quotate, forse per questo genere di motivi. Quindi secondo te è un discorso solo culturale oppure anche di difficoltà di accesso rispetto ai paesi anglosassoni che magari hanno un mercato più sviluppato e secondo te è anche un problema di liquidità del mercato borsistico delle piccole aziende quotate.

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oppure credi che ci sia sufficiente liquidità. So che c’è stato anche un grosso afflusso da IPIR, ma io credo che comunque il mercato sia ancora troppo poco liquido e quindi la scarsa liquidità comporta anche una difficoltà di accesso maggiore. Non so, che ne pensi a riguardo? Qui bisognerebbe affrontare il problema dal punto di vista della macroeconomia del Paese Italia e non voglio farlo. Io penso che il problema culturale abbia un notevole ridievo.

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perché se ci fosse una diffusa convinzione nell’imprenditoria italiana di dovere raggiungere la quotazione, che vuol dire anche che la propria azienda non è una proprietà unicamente dell’imprenditore, intellettualmente parlando, ma un’azienda opera in un contesto dove gli stakeholder sono molti e con gli stakeholder vanno in un modo molto diverso.

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qualche misura condivise le decisioni, le posizioni e guarda questo è un modo di vedere le cose ancora molto poco diffuso e da noi vige ancora un sistema fortemente conflittuale. C’è un conflitto con i sindacati per esempio sovente che oggi non ha più significato, non ha veramente più significato perché è evidente che un’azienda che va bene…

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deve premiare i propri dipendenti e mentre invece un’azienda che va male ha bisogno del sacrificio di tutti. E non deve essere un fatto puramente conflittuale. Come non deve essere conflittuale il rapporto tra l’imprenditore e il soggetto finanziario? Per cui l’imprenditore si lamenta perendemente, con ragione sovente, della lentezza delle banche, della loro incapacità a decidere, dell’aggressività dei fondi.

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ma a loro volta i fondi e le banche si lamentano per l’incapacità e la scarsa volontà dell’imprenditore di capire quelli che sono i loro problemi, i problemi che oggi sono molto diversi, una volta erano più simili e cioè erano quelli di avere una ragionevole sicurezza di investire dei soldi a fronte di un reddito futuro che non sia campato per aria ma che sia…

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oggettivamente ottenibile. Io sono convinto che le cose cambieranno prima di tutto perché i giovani sono più abituati evidentemente a questo genere di ragionamento e a vedere le cose ecco veramente in una sharing economy dove le cose vengono condivise ecco non ci sono dei blocchi monolitici in contraposizione l’uno con l’altro. Se ci fosse…

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una diffusa convinzione di questo tipo secondo me si spingerebbe per risolvere anche i problemi di cui tu parli, che dubbiamente ci sono quelli dell’accesso alla borsa. Io credo, ti dico che nel mondo la liquidità ci sia, posso dirti che dal mio punto di vista, al mio osservatorio di Fante vedo che c’è molta interessa da parte di investitori esteri a venire in Italia.

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e ad investire nelle piccole e medie aziende. Noi abbiamo a che fare con fondi cinesi, tedeschi, americani e francesi e sono interessati a farlo. Perché? Perchè, però, sovente poi non si riesce ad ottenere dei buoni risultati da questo interesse? Da una parte perché per uno straniero il nostro mercato è difficilmente intellegibile. Cioè, loro vedono in quello che succede in Italia degli eventi di cui non sanno darsi

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Figurati che alcune volte noi siamo stati pagati per spiegare a questi soggetti come mai in Italia succedevano determinati fatti, dal punto di vista giuridico, fiscale, dal punto di vista degli ordinamenti statali, ma anche i rapporti con gli imprenditori non sono facili. Non sono facili perché si crea sovente appunto questo spirito di contraposizione. L’imprenditore italiano…

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vede il fondo tedesco che vuole intervenire con un investimento come una controparte. Un predatore. Più che un predatore, ti direi proprio una controparte. Cioè bisogna mettersi in contraposizione. Non c’è la fiducia di provare a creare qualcosa insieme, di diverso. Ecco, deve essere qualcosa però di diverso, è naturale. Non puoi pensare di fare un passo di quel genere continuando ad essere quello che sei sempre stato.

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è evidente che si presuppone che tu sia disposto a cambiare, a modificare lo stato della tua azienda e il tuo atteggiamento verso il mercato, verso i prodotti, verso il mondo. Lo vede magari come un gioco a somma zero, quindi tu guadagni, io perdo, è viceversa e non come una cooperazione per la crescita. Forse questo è il problema secondo te, Roberto. Guarda, io insisto a dire che è un problema…

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ti assicuro sovente che è una parola troppo utilizzata e troppo culturale. Molto sovente noi spieghiamo agli imprenditori, guardi che questo fondo deve mettersi nei vestiti di questo fondo, il fondo gestisce dei quadrini che non sono i suoi, che sono quelli degli investitori nel fondo, quindi lui deve garantire dei ritorni, quindi deve prendere delle precauzioni, deve condividere un piano, e questo dà fastidio.

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La fastidio è un fastidio sordente, dice ma come? Io sono un imprenditore, io ho creato questa azienda, io sono riuscito ad imporre questi prodotti e quindi bisogna che mi lasciano fare, che non mi condizionino, che non debba discutere con loro quello che devo fare. Intendiamoci, questo è anche vero in parte naturalmente, perché l’imprenditoria italiana, insisto a dire, è contraddistinta da delle capacità notevolissime.

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notevolissime ed è questo che fa gola anche agli investitori stranieri, sono vogliosi di investire i propri quadrini in aziende gestite da persone competenti nel prodotto e capaci di sviluppare.

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Ma a tuo parere, ritornando sugli spunti per i policy makers, su questo aspetto pensi che le istituzioni possano in qualche modo facilitare, non so se c’è qualche esperienza all’estero di facilitazione tra gli investitori esteri e le aziende italiane, non vorrei che questi investitori esteri fossero visti un po’ come una sorta di invasione, perché anche questo è un tema che ha la sua rilevanza politica.

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quindi insomma non so che idee hai a riguardo Roberto. Guarda io credo questo, io ho vissuto, ho gestito aziende negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, anche nel Regno Unito. Qual è la differenza sostanziale che noto? E’ proprio quella derivante dalla mancanza di un gruppo di grosse aziende, di multinazionali a livello mondiale.

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che sono un anello di trasmissione fondamentale tra quella che è la politica industriale di un paese e il mondo delle piccole e medie aziende. Intendiamoci che in Italia qualcosa abbiamo, ci sono delle grosse aziende, l’ENI, la stessa filmeccanica, però sono poche. All’estero parlo di Francia, parlo di Stati Uniti e di Germania per citare degli esempi semplici, le piccole e medie aziende sono

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guidate nel loro sviluppo, sono indirizzate e sono anche aiutate. Il mondo automobilistico tedesco per esempio è impegnato nello sviluppo dei propri fornitori, nel fare di crescere, nel dare loro gli strumenti finanziari, anche culturali, per diventare più efficaci, più efficienti, per investire nei posti giusti.

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questo strato delle grandi aziende viene a mancare, quindi che cosa ci vorrebbe? Ci vorrebbe ancora più che in altri paesi una politica industriale coerente, una scelta a livello nazionale dei settori su cui investire particolarmente, dove ci sono più prospettive di successo e devo dire purtroppo questa pianificazione, questa programmazione

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non c’è stata negli ultimi decenni o c’è stata in maniera molto scarsa. Questo perché non abbiamo le grandi aziende che insieme ai governi guidano il mondo delle piccole e medie. Io mi ricordo, ho partecipato a quelli che si chiamano all’epoca, forse adesso non se ne fanno meno, di viaggi, di missioni, le famose missioni in Cina, in India, eccetera, e ho partecipato ad alcune italiane e ad altre appunto.

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francesi o tedesche, in quanto ero imprenditore manager in quelle nazioni. La differenza è molto grande, c’è un’organizzazione a strati, quindi a livello politico c’è un’apertura organizzata nei paesi, nei mercati. Le grandi aziende mettono delle basi di sviluppo, le pongono, sono delle basi che vengono decise prima, non si va a caso nei paesi. Le piccole e medie aziende prevalentemente seguono.

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naturalmente le grandi hanno poi naturalmente libertà di azione, ecc. Ecco, qui da noi purtroppo questo in buona parte, non totalmente, ma manca. Quando è stato fatto qualcosa del genere i risultati si sono visti. C’è stato un periodo in cui, mi ricordo, Prodi avviò una politica di missioni organizzate in Cina e in India e la cosa ebbe un certo seguito.

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Ma a tuo parere missioni di questo tipo possono essere solamente istituzionali, quindi governative, o possono essere anche derivanti da iniziative private? Certamente possono essere derivanti da iniziative private, però tu capisci bene che più è alto il livello di approccio, più hanno possibilità di successo. Quindi sono organizzazioni che costano, costano fatica, lavoro, ma che hanno dei ritorni importanti.

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Ti ripeto, mi ricordo molti anni fa oramai una missione fatta con i transalpini, con i francesi. Ci convocavano io all’epoca, ero a capo, ero in un gruppo, ero nel Comau e noi in Francia avevamo un’azienda importante di macchine utensili e quindi ero integrato nel sistema francese, ero visto come un manager francese. E mi ricordo ci fu un lavoro di preparazione di una missione in Russia.

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Ma molto molto intensa, si discusse prima, assieme ad elementi governativi e delle grandi aziende dell’automazione francese, quali erano le possibilità di entrata nei vari mercati, ci si preparò, fumo preparati anche politicamente, ci spiegarano quelle erano al momento le prospettive politiche industriali della Russia e quindi si andò molto preparati con un

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renco di appuntamenti già in parte prefissati e questo perché? Perché c’era un governo che si era impegnato in quello, supportato da un gruppo di aziende molto grandi con una grande quindi potenza di impatto e questo sicuramente ebbe dei ritorni importanti.

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Grazie Roberto, non solo perché è uno spunto molto interessante, ma anche perché è estremamente pratico e di facile attuazione. Quando parliamo di spunti per i policy makers spesso non ci rendiamo conto di quanto è complicata la macchina organizzativa pubblica, però di vederti concorde. Tanti interventi sono molto difficili da mettere in pratica anche perché spesso devono intervenire su questioni di tipo culturale, quindi molto lente. In questo caso invece le missioni all’estero con un determinato standing, una determinata

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qualcosa di molto pratico e implementabile e spero che lo spunto sia colto.

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Volevo chiederti un’altra cosa, vista proprio il taglio pratico delle nostre interviste, credo possa essere interessante per gli ascoltatori capire il target dei tuoi investitori esteri, cioè quali sono le aziende in cui state facendo scouting come settore e come dimensioni, in modo tale che se tra gli ascoltatori qualcuno dovesse essere all’interno di aziende che sono nel target, potrei metterli in contatto con te, sei gradito.

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Ti ringrazio, intanto sarebbe una cosa naturalmente per noi molto gradita e interessante. Qual è il modo in cui ci vedono gli investitori esteri? Lasciamo da parte le grandi aziende, che sono naturalmente ben note e con le quali le transazioni sono di altro tipo. L’Italia è considerata un Paese ricco di know-how legato al prodotto.

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Quindi per dire ci sono in questo momento per esempio dei fondi che investono in IT, sia la convinzione che in Italia ci siano delle aziende medie piccole con un know-how specifico nell’IT forte. Questo naturalmente succede per l’automazione, succede per il food, è ovvio, non parliamo del lusso e via dicendo. Quindi l’attenzione degli investitori.

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e quella di trovare il know-how che si combina al meglio con quello che è il loro pacchetto di investimenti inessero che vogliono realizzare. Devo dire tra l’altro che là dove a mio modo di vedere per la mia esperienza manageriale gli italiani sono imbattibili è nell’impiantistica, noi siamo fantastici nel realizzare impianti perché lì si esalta il nostro spirito di problem solvers, la nostra flessibilità operativa, la capacità.

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di capire quali sono i problemi da affrontare e anche la nostra capacità di trovarsi bene nei contatti umani con chiunque. Gli impiantisti devono realizzare degli impianti nel mondo e quindi devono collaborare con popoli, con culture le più svariate, le più diverse.

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sassoni ai francesi e dai tedeschi perché abbiamo un modo di fare che rende possibile tutto questo. Ecco quindi gli investitori cercano in Italia non la grande opportunità finanziaria, difficilmente succede questo, non l’azienda ben organizzata su cui fare riferimento per i propri sviluppi, cercano know-how, cercano la capacità.

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di affrontare determinati mercati con dei prodotti adeguati e con l’inventiva, la creatività, per inventarne di nuovi. Questo vanno cercando.

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Grazie molto Roberto, credo estremamente utile questo approccio proprio alla filosofia della ricerca che applicano gli investitori, che credo sia altamente condivisibile. Abbiamo visto, se non sbaglio, due settori che hai citato, anzi mi fa molto piacere, insomma i complimenti che hai fatto al settore delle componenti. Quindi hai citato il settore IT e quello della componentistica come probabilmente target degli investitori internazionali.

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Non so se ti viene in mente qualche altro settore e poi oltre alle basi filosofice del business e quindi dell’opportunità di avere prodotti eccellenti, se hai dei dati numerici come target delle imprese dei tuoi clienti investitori? Guarda, è un settore di cui ho già parlato prima e su cui vorrei ritornare ancora, l’impiantistica, la capacità di realizzare impianti tecnologici nel mondo.

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Sofinter è un caso assolutamente in linea con questa capacità. Se mi permetti, in qualche minuto ritorno sul caso Sofinter e sul perché mi fa piacere parlarne. Sofinter è un gruppo di impiantistica, sono delle aziende che tendenzialmente e sostanzialmente generano impianti per la produzione di vapore.

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Detta così, magari non tutti possono capirne l’importanza, ma invece, come molti sanno, gli impianti di generazione di energia elettrica hanno dei cicli di recupero che, col vapore generato, azionano delle turbine aumentando moltissimo l’efficienza di questi impianti. Ma il vapore è utilizzato da tantissime aziende, nella raffineria del petrolio, nelle industrie che producono carta.

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nell’industria farmaceutica e così via. Si tratta di impianti il cui valore varia da 1 decina di milioni di euro a 150-200 milioni di euro nei casi più complessi e sono degli impianti il cui mercato è il mondo. Qual era il problema di Sofinter? Il problema di Sofinter, io entrai a conoscenza del caso Sofinter perché mi chiese un istituto

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come indipendente del board. Io non sono molto favorevole ad essere un board member indipendente, ma comunque lo feci perché me lo chiese questo istituto col quale avevo ottimi rapporti. Me lo chiesero perché pensavano che il caso Sofinter, che era un caso da loro considerato disperato dalle banche, potesse essere risolto da certi investitori tedeschi. Io mi resi conto che questa opportunità non c’era.

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e nel corso di alcuni mesi mi rese anche conto che invece il gruppo aveva un know-how molto forte, aveva delle capacità tecniche molto importanti, ma che la gestione del gruppo per certe situazioni dell’azionariato, delle situazioni anche complicate che si erano venute a creare, non era stata a livello di questa impostazione. Si arrivò a un momento in cui il ceto bancario, le banche impegnate con

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quasi 500 milioni, tra credito di firma e credito commerciale, erano già impegnati in questo gruppo, non volevano più finanziarlo e per continuare a mantenerlo in vita mi chiesero di fare l’amministratore delegato. Io non ero certamente alla ricerca di questo lavoro, ma lo feci perché ritenevo che era un delitto sprecare il lavoro.

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capacità, il know-how di tante persone con un indotto anche molto forte, con uno stabilimento tra l’altro in Romania, con una presenza forte negli Stati Uniti, in Egitto, in Malaysia, per motivi di mancanza di management, lo feci e il gruppo adesso, adesso vedremo come supererà la difficile fase del Covid, ma dopo anni e anni di perdita ha cominciato a generare debbi utili e quindi

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con umiltà e con pazienza si è messo a frutto quello che quasi sempre, sovente, diciamo, c’è di buono nelle aziende italiane, che è la capacità di fare, che è la capacità di muoversi, la flessibilità, quello che tu dicevi, siamo aziende piccole e medie, quindi flessibili, agili per quanto riguarda il prodotto. Quindi che cosa cercano gli investitori stranieri, ma non soltanto stranieri?

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non è così rilevante il fatto della dimensione. La dimensione conta dal punto di vista, fammi dire, della mission dell’equity fund, se ha dei limiti statutari di operazioni di una certa dimensione o di un’altra. Cercano di acquisire questa capacità e di inquadrarla in un piano industriale ragionevole, fondato, che possa portare a dei risultati anche economico e finanziari.

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positivi nel medio termine. Questo cercano.

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Grazie molto Roberto, quindi aggiungiamo un terzo settore nel focus dei tuoi investitori che è quello degli impianti. Quindi se non hai altro da aggiungere a livello di settori come target che credo siano di estremo interesse per i nostri ascoltatori, entriamo quindi nello specifico del caso Sofinter. Ti volevo chiedere, quando sei intervenuto nell’analisi dell’azienda, com’è dedotto il problema che era la base e che non riusciva a mettere a frutto il potenziale dell’azienda?

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Ma guarda, quando entrai a far parte del board, ovviamente studiai lo stato patrimoniale e il conto economico della società, ma soprattutto mi rivolsi alle mie conoscenze nel mondo per sapere come il gruppo era considerato dal punto di vista della capacità realizzativa.

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e ottenne delle risposte assolutamente positive. Il consensus del mercato era che il gruppo Sofinter, nelle sue varie declinazioni, fosse capace di realizzare bene, di operare bene, le competenze c’erano, ed è un settore molto tecnico, molto tecnologico, dove le competenze non sono così diffuse. Allora mi chiesi come mai un gruppo che opera

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mercato che non è in crisi, anzi il consenso di mercato è favorevole a impianti che generano vapore perché ce ne sarà un forte bisogno nel futuro. Perché era in crisi? E trovai appunto uno scordinamento delle varie funzioni operative, ognuno andava un po’ per i fatti suoi, non c’era una visione comune dell’andamento dell’azienda, c’era di nuovo scarsa sensibilità

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finanziario, scarsa conoscenza anche dei meccanismi. Per esempio la contabilità di commessa non teneva conto della sostenibilità finanziaria della commessa, molto sovente in commesse di quelle dimensioni conviene concedere un qualche cosa di sconto di margine al cliente purche lui anticipi i pagamenti, sono concetti molto importanti nella gestione per commessa perché

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le commesse devono essere sostenibili finanziariamente. Ecco, ragionamenti di questo genere, come quello per esempio di creare un albo dei fornitori, scoprì che il gruppo aveva 4.000 fornitori, era una cosa assolutamente senza senso, quindi io mi limitai a dare degli indirizzi operativi e organizzativi a delle persone che il mestiere lo conoscevano molto bene. E quindi gradatamente diciamo che il processo è ancora in essere.

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ancora molti miglioramenti devono essere fatti, ma altri sono già stati fatti e portano naturalmente dei vantaggi. Ritengo che questo sia un caso per certi versi abbastanza diffuso, ne vedo molti altri, dove il management è assolutamente ragionevole, non certo ne geniale, ne outstanding.

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Ma di persone che conoscono a 360 gradi quelli che sono i parametri importanti di un’azienda potrebbero con l’aiuto dei fondi, delle banche e quindi dei soggetti che operano in finanza migliorare di molto la situazione di parecchie aziende e società italiane.

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Grazie Roberto, quindi se ho ben capito il problema di base era manageriale, nel senso che principalmente come dicevi non c’era un coordinamento adeguato e questo comportava una serie di inefficienze, quindi l’impossibilità di cogliere il potenziale. Ma volevo chiederti, innanzitutto è interessante il fatto che probabilmente è un problema trasversale in molte aziende italiane e forse insomma è un importante spunto di riflessione, ma come hai capito?

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questa mancanza manageriale, nel senso, sei riuscito a dedurla dallo studio dei documenti oppure come fatto in maniera intelligente sulla reputazione aziendale hai fatto delle interviste per capire a fondo? Lo chiedo non solo per mia curiosità ma perché in questo modo possono capire anche le aziende che ci ascoltano se possono vedere all’interno dei problemi di managerialità e trovare in Softwinter uno spunto come esempio che possa essere di utilità.

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Guarda, le aziende come tu sai benissimo sono gli uomini che la compongono e non soltanto gli uomini che compongono l’azienda, ma anche gli uomini che stanno attorno all’azienda, che sono i fornitori in primo luogo, ma anche i clienti, ma anche coloro che erogano i servizi. Quindi la cosa che ho fatto dopo lo stupore, e devo dirti uno stupore, nel non trovare una correlazione tra l’opinione…

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che si aveva nel mondo, circa le capacità del gruppo e i risultati di conto economico che erano molto molto peggiori di questa opinione, rilevai questa discrasia e cominciai a parlare con le persone. I documenti tu mi insegni contano fino a un certo punto perché certo riportano dei risultati che però sono frutto di interazioni eccetera. La prima cosa che

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era che il gruppo manageriale aveva delle idee circa l’evoluzione o la natura stessa del gruppo molto diverse le une dalle altre. Cioè ognuno la pensava a modo suo, ognuno aveva delle idee che non confrontava con gli altri. E la prima operazione che ho cercato di fare naturalmente è di gradatamente portare le persone del gruppo manageriale

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condividere un’idea evolutiva del gruppo. Che cosa si può fare per migliorare la situazione? È inutile, dicevo, darci degli obiettivi irraggiungibili per un qualche motivo. È inutile non tenere conto delle ristrettezze finanziarie nelle quali ci trovavamo, oppure delle difficoltà di competere con determinati soggetti. Ecco, questa è stata, direi, una parte importante del lavoro, perché una volta che via via ci si è ritrovati

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condividere un modello, un obiettivo, uno sviluppo, si è via via anche qua, come dire, ritagliata l’organizzazione, modificata, creata un’organizzazione per cercare di corrispondere alla realizzazione del modello che si era condiviso. Per esempio, parlando di cose anche molto banali, parlando dei fornitori, ecco, l’idea di fare continuamente gare…

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cercando di lucrare sulla competizione di un numero infinito di fornitori, e che spingetti molto su questa strada, che non era la via migliore da perseguire, perché si perdeva in quel modo qualsiasi tipo di relazione strutturata con i fornitori. I fornitori di un impiantista devono essere tali…

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perché hanno vissuto con questi impiantisti diverse vicende, hanno superato diverse difficoltà e quindi sono disponibili a fare degli sforzi. Si crea quindi quello che normalmente viene chiamato un albo di fornitori, una famiglia di fornitori ben conosciuti, di cui si conoscono pregi e difetti, punti di forza e punti di debolezza e che si contribuisce a far crescere. Questo fu un passaggio per esempio che è ancora in corso, ha richiesto…

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lungo periodo di tempo per riflettere tutti e dire che era meglio operare in questo modo piuttosto che nell’altro, come anche le modalità di entrata nel mercato, il modo di stare in un mercato, i collaboratori locali e le partnership che si dovevano intraprendere per stare in mercati difficili come quello egiziano, come quello iracheno, come quello malese e così via. Quindi è un lavoro…

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L’esegue di squadra, come sempre, bisogna che tutti i componenti della squadra condividano un obiettivo perché se ognuno pensa a obiettivi l’uno diverso dall’altro è difficile ottenere un buon risultato.

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Grazie molto e Roberto considera che nell’evoluzione del nostro podcast abbiamo anche in mente di fare delle serie specifiche su determinati settori argomenti. Una di queste è proprio specifica sul valore del capitale umano, quindi credo sia altamente calzante con quello che stiamo dicendo adesso e che stiamo raccontando come importante e preziosa esperienza ai nostri ascoltatori. Ma volevo chiederti…

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Alla luce di queste considerazioni, quindi degli interventi che hai utilizzato, delle strategie, poi non so se ce ne vuoi citare altre, ma come è migliorata la situazione dell’azienda alla tua guida? Con quali risultati? Ma guarda, questa era un’azienda che accusava delle perdite a conto economico da un lungo periodo di tempo e soprattutto aveva accumulato una posizione finanziaria assolutamente preoccupante, quindi il fronte di un fatturato del…

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e metti tra 14, 15, 16 di 300 milioni all’anno con perdite più o meno che andavano dai 30 milioni ai 5 milioni, quindi con perdite medie una decina di milioni all’anno, la posizione finanziaria che io ereditato era di 115-120 milioni. In più c’era tutto il credito di firma.

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che per un soggetto come gruppo che lavora con grandi clienti, quindi la bondistica, è pari a un cifre che vanno vicino ai 400 milioni. Quindi le banche in quel momento erano talmente preoccupate dalla possibilità del gruppo di far fronte all’indevitamento prima di tutto, ma soprattutto al credito di firma, perché se le cose vanno male i clienti escutano la bondistica, le garanzie.

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e le banche sono obbligate a far fronte alle proprie obbligazioni. Prima di tutto, io mi sono concentrato sul fatto della gestione finanziaria. Oggi il gruppo ha ridotto considerevolmente il proprio credito di firma con una gestione più attenta della bondistica, che va liberata, è un lavoro con i clienti molto lungo e attento e soprattutto la posizione finanziaria è scesa.

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nell’intorno tra i 30 e i 40 milioni, quindi assolutamente adeguata alle bidda che le bidda di gruppo è attorno ai 18 milioni e quindi siamo tornati ad una situazione di assoluta normalità. C’è stato poi un lavoro molto profondo fatto sull’area commerciale per vari motivi, nel momento in cui ho cominciato ad occuparmi del gruppo, l’attività commerciale del gruppo stesso era molto concentrata in pochi mercati in quel momento.

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in Egitto, che era un mercato molto interessante ma anche molto rischioso, come tu puoi immaginare, per un impiantista l’Egitto rappresenta un rischio, perché è un disordine sociale, politico, può in effetti fermare tutta l’attività. Quindi è stato un periodo di investimento commerciale che ha rallentato la presa di ordini.

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per cui il fatturato è diminuito dai 300 milioni medi precedenti, anche di più, si è planati su 250-270 milioni di giro d’affari, ma con una reddittività maggiore si è migliorato la percentuale di evità raggiungendo più o meno l’8% e quindi bilanciando la società e facendo nel contempo degli investimenti notevoli sul fronte commerciale.

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e soprattutto in ricerca e sviluppo. In ricerca e sviluppo ci siamo collegati coi più importanti centri mondiali di studio dei materiali e di questo genere di attività perché naturalmente bisogna tener conto della concorrenza non solo americana, tedesca, ma quella cinese, anche quella indiana, c’è un grosso concorrente indiano molto forte.

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e quindi bisogna conservare, non potendo naturalmente essere competitivi, particolarmente competitivi sui costi, un vantaggio tecnologico. Le cose fino adesso hanno funzionato, hanno funzionato, il gruppo è adesso performante, bisognerà vedere come riusciremo a superare questo periodo del Covid che per noi è stato molto dannoso, ha ritardato tutte le attività nel mondo, purtroppo come sappiamo il Covid.

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sta furiosamente attaccando tutti quanti e quindi sono slitati gli investimenti, sono slitate le realizzazioni degli ordini che erano già stati acquisiti, quindi sicuramente sarà un periodo anche per i conti più duro, ma il gruppo sta assumendo una sua struttura, intanto ecco quello che conta, un grande rispetto da parte del mercato, dei clienti.

56:26

di coloro che lo conoscono, adesso noi non abbiamo più quasi ritardi nel pagamento dei fornitori, che era un endemico problema ovviamente della precedente. Insomma, ecco il gruppo ha recuperato la propria natura, la propria struttura ed è in grado di battersi sui mercati mondiali. Io credo…

56:48

che questo sia un impegno che tutti coloro che operano nel settore industriale dovrebbero prendere, non rischiare di dilapidare un patrimonio di know-how, e io questo l’ho visto altre volte, cioè un patrimonio del know-how per via di mancanze manageriali, un chiaro inquadramento delle prospettive di queste società. Questo è un vero peccato.

57:16

perché un gruppo come questo crea occupazione dell’indotto. E noi stiamo assumendo ancora dei periti degli ingegneri, quindi del personale qualificato con delle prospettive, quindi di un lavoro retribuito adeguatamente con anche delle esperienze internazionali rilevanti. Ecco, noi dobbiamo evitare che nel nostro Paese vengano disperse queste capacità e questo know-how. Dobbiamo farlo in tutti i modi possibili.

57:47

Grazie Roberto, credo sia un esempio molto interessante anche del potenziale di una restrutturazione che non deve essere vista come una perdi di controllo ma come un lancio verso scenari di più ampio respiro. Complimenti per la performance considerando ovviamente che è solo l’inizio penso sia un percorso e mi sembra che la direzione sia molto interessante.

58:15

ovviamente rendendo in considerazione la congiuntura attuale. Che insegnamenti trai da questa esperienza? E soprattutto, qual è a tuo parere l’utilità per le aziende italiane, anche se non in fase di crisi, ma che hanno difficoltà a crescere? Io penso che dobbiamo rapidamente attrezzarci per capire dove c’è del know-how e della capacità da salvare.

58:40

dobbiamo riuscire, dico dobbiamo tutti coloro che operano anche noi di Fante, capire dove c’è un patrimonio di Noao da salvare. Una volta che lo abbiamo identificato dobbiamo supportarlo, supportarlo con gli aiuti finanziari e strategici anche di manageriali necessari. Questo è quello che dobbiamo fare, dobbiamo capire dov’è il tesoro da non perdere.

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E alla luce di questa esperienza, credi che possa esserci qualche consiglio da parte tua su aziende che hanno difficoltà nella crescita? Io credo che se un’azienda non cresce o non ottiene dei buoni risultati, bisogna avere la forza di fare un esame di coscienza, perché i motivi ci sono. Troppo sovente vedo che questo esame di coscienza viene ritardato, non viene fatto.

59:36

e ci si dà delle motivazioni, come dire, alla fine fittizie, che non sono quelle che affrontano il problema. Il mercato è un arbitro implacabile nel bene e nel male ed è lì che troviamo il risultato di quello che facciamo. E quindi se le cose non vanno, se non si cresce, e un’azienda deve crescere, ci sono dei motivi. Bisogna andarli a cercare e bisogna mettere in mano per risolvere.

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Grazie Roberto. Se ben ricordo, durante questa intervista tu hai citato delle caratteristiche importanti degli italiani che sono la creatività, il talento e anche la capacità di adattamento soprattutto nelle relazioni. Hai citato anche le difficoltà specie nel mondo delle componenti di lavorare in squadra con partner internazionali. Insomma, mi sembra un gran bel messaggio in un momento in cui il Paese…

01:00:29

necessità di messaggi positivi e di belle storie da raccontare. Volevo chiederti se dovessi avviare oggi un’impresa, sceglieresti l’Italia e vedi altri motivi oltre a quelli citati? Beh, sai, è una domanda… io sono italiano, amo moltissimo questo paese e ritengo avendo girato tutto il mondo che in nessun posto si viva nemmeno lontanamente bene come da noi, quindi questo già di per sé che se ne dica?

01:00:57

l’Italia è un paese straordinario. In maniera magari più professionale, dipende dal tipo di attività da avviare. In certi settori non c’è dubbio che investirei in Italia, in altri molto meno.

01:01:14

Ci vuoi citare i settori che a tuo parere sono più interessanti, ne vedi altri oltre quelli che hai citato, che ricordo sono l’IT, la componentistica e l’impiantistica? Io credo che siano tutti i settori dove le virtù e le capacità italiane trovano la loro esaltazione, quindi quelle dove ci vuole creatività. Noi, forse con l’eccezione dei piemontesi, che tutto sommato, fammi dire, sono…

01:01:44

francesi, sono un po’ cartesiani, ecco non siamo fatti per realizzare grandi imprese di massa, non ce l’abbiamo nel sangue e non ci appassionano, siamo fatti invece per realizzare, ecco io penso per esempio che sicuramente un mercato attrezzato per le startup che in Italia ancora non c’è, che speriamo che nasca, dovrebbe trovare veramente un terreno fertile, perché le idee non ci mancano.

01:02:13

l’iniziativa non ci mancano e quindi io penso che una startup se ci fosse un sistema adeguato per sostenere le startup in Italia purtroppo ancora non c’è, l’Italia sarebbe probabilmente un posto dove sviluppare attività di startup.

01:02:33

Grazie Roberto, abbiamo sempre una grande attenzione ai giovani, quindi volevo chiederti se dall’alto della tua esperienza hai dei consigli da dare ai giovani imprenditori, ai giovani manager, ai giovani consulenti. Tante volte dei giovani vengono da me e mi chiedono, essendo io purtroppo oramai una persona con un lungo passato alle spalle dei consigli, io la prima cosa che dico loro è

01:02:57

fate quello che vi piace fare in base alla vostra preparazione perché se uno fa quello che gli piace fare, a parità di condizioni, ovviamente rende molto di più. Sembra una qualcosa di scontato, in realtà non lo è. Noi siamo persone, noi italiani, un poco cervellotiche, quindi ci poniamo nella situazione di fare quello che crediamo che sia più conveniente.

01:03:20

a certi scopi e a certi fini, perdendo di vista invece quella che è la nostra capacità, il nostro entusiasmo di fare in una direzione piuttosto che nell’altra. L’altro consiglio che mi sentirei di dare è sempre e comunque studiamo la concorrenza, studiamo quello che fanno gli altri. La prima cosa da fare è andare a prendere i migliori concorrenti e studiarli con umiltà a fondo, i migliori mercati e andare a vedere come funzionano di nuovo.

01:03:50

con grande attenzione e con la volontà di capire quelli che sono i punti che gli avvantaggiano e che gli rendono campioni.

01:04:00

Grazie molto Roberto, siamo in chiusura. Volevo solo chiederti se magari hai qualcosa di riepilogativo, una raccomandazione finale, uno o due messaggi chiave che vuoi che rimangano impressi nei nostri ascoltatori. La mia speranza è che io vedo delle minacce, non sono di solo naturalmente, che aleggiano sopra questa capacità imprenditoriale italiana che…

01:04:27

particolare che ha i suoi pregi e i suoi difetti ma che comunque è riconosciuta in tutto il mondo ed è molto forte. Bisogna aiutarla, bisogna vedere, cercare di fare in modo che non si vedano le cose in maniera conflittuale, che non ci si ponga sempre come controparti ma che si cerchi di disegnare un Paese dove l’imprenditoria, l’industria e i servizi abbiano il loro ruolo, che non è l’unico ruolo ma è un…

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importante per dare lavoro. Quindi io credo che dobbiamo, soprattutto in un momento come questo, lo dicono in tanti, è un luogo comune, lasciare perdere le battaglie ideologiche e puntare al concreto, cercare di capire cosa bisogna fare per dare modo anche all’imprenditoria di vivere, di crescere e di non essere sommersa.

01:05:23

da lacci di tutti i tipi e da obblighi che non si è in grado di ottemperare. Dall’altra parte bisogna che gli imprenditori si facciano carico del fatto che le loro aziende non sono il loro dominio impero assoluto, ma sono parte del patrimonio della collettività che sono possedute in una certa misura da tutti gli stakeholders che stanno attorno alle aziende.

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Grazie molto, caro Roberto, anche da parte dei nostri ascoltatori per l’esperienza, il tempo che ci è dedicato, l’energia, le notizie anche incoraggianti, positive, basandoci sul caso Sovinter e poi insomma allargando il respiro a una tematica molto ampia. Il caso Sovinter ci ha fatto capire che l’azienda stessa oggi è alla ricerca

01:06:16

anche di nuovi ingegneri, mi dicevi, di risorse. Quindi, insomma, se possiamo essere un veicolo per chi ci ascolta, ci facciamo volentieri da tramite. I tuoi investitori ci hai detto che hanno interesse nel settore IT della componentistica e degli impianti. Quindi, se c’è qualche azienda interessata ad entrare in contatto, può inviare una mela a segreteria ridefinance.it, questo per rendere il nostro servizio il più pratico e utile possibile per tutti.

01:06:45

A questo punto ringrazio nuovamente Roberto per la sua partecipazione e arrivederci a tutti al prossimo episodio. Grazie Roberto. Sono io che ringrazio te Vincenzo e ringrazio tutti quelli che avranno la pazienza di sentire questa conversazione che comunque è stata anche per me molto interessante. Ciao Vincenzo, a presto.

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