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Aristocrazia 2.0. Una nuova élite per salvare l’Italia.

Intervista all’autore Roger Abravanel, Director Emeritus McKinsey&Co

L’intervista di oggi è al saggista Roger Abravanel.

Ingegnere MBA INSEAD, con 35 anni di carriera alla McKinsey in Italia, Europa, Asia, USA, America Latina e Medio Oriente.

E’ uscito da McKinsey nel 2006 ed è oggi Director Emeritus. Nel 2010 è stato selezionato tra i “50 alumni che hanno cambiato il mondo”, in occasione del 50nario della fondazione dell’INSEAD.

Ha fatto parte di consigli di amministrazione di imprese globali quotate alla borsa di New York (Teva, multinazionale farmaceutica), Londra (Admiral, assicurazione digitale), Nasdaq (Caesar Stone, materiali innovativi – oggi è ancora membro), Telaviv (Phoenix, assicurazione vita e danni – oggi è ancora membro) e italiane (BNL/BNP, di cui oggi è ancora membro, in passato Luxottica, Cofide, Esselunga, Yamamay, Coesia) e di start up tecnologiche (oggi: Genenta, start up del San Raffaele di Milano).

Dal 2008 è anche editorialista del Corriere della Sera e autore di saggi di successo, quali: “Meritocrazia”, “Regole”, “Italia cresci o esci”, “La ricreazione è finita” e l’ultima pubblicazione: “Aristocrazia 2.0”

Inizieremo la nostra discussione sul tema della competitività italiana. Di fondamentale interesse risulterà la diagnosi fatta da Roger riguardo il blocco dell’economia nazionale. A tal proposito individueremo ed analizzeremo i motivi profondi e reali che hanno causato la crisi economica e sociale italiana negli ultimi quarant’anni.

Le soluzioni prospettate, illustrate più nel dettaglio nel saggio “Aristocrazia 2.0”, potrebbero essere spunti interessanti per le nuove generazioni, per capire come e soprattutto da dove dover ripartire: il prossimo Rinascimento italiano non passerà dai soldi europei e dalle solite politiche assistenziali, gestiti da una classe dirigente inefficiente, ma dalla costituzione di una nuova élite, che andrà selezionata attirando i migliori cervelli nelle nostre università.

L’ottimismo propositivo del nostro ospite individua un’opportunità, se ben sfruttata, anche nel Covid. La pandemia globale, ci dirà il nostro intervistato, sta accelerando l’economia della conoscenza e tutto ciò può darci la possibilità di sfruttare i cambiamenti in atto, per migliorarci e rimetterci in moto.

Abravanel ci svelerà quale sia stata la sua fortuna nella vita: il padre, che definisce un esempio di Aristocratico 2.0, ha investito nella cultura e nella preparazione del figlio, e non sui beni materiali, eredità troppo fragile in un modo in continuo movimento.

Concluderemo questa splendida chiacchierata con la rituale domanda di chiusura relativa ai consigli per giovani di oggi in un episodio da non perdere.

Il saggio è disponibile su Amazon

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Buongiorno agli ascoltatori e benvenuti al podcast Inside Finance. Ho il piacere oggi di intervistare Roger Abravanel. Nato a Tripoli in Libia nel 1946 e migre in Italia nel 1963. Nel 68 si laurea in Ingegneria Chimica a pieni voti al Politecnico di Milano, vincendo il premio di Più giovane Ingegneri d’Italia. Presso la stessa università fino al 1970 svolge l’attività di ricercatore presso l’Istituto di Fisica Tecnica.

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In seguito ha conseguito un Master in Business Administration presso la Business School INSEAD, dove ha ricevuto la High Distinction. Dal 1972 è stato consulente presso la McKinsey & Co., leader mondiale nella consulenza per l’alta direzione. Grande esperienza internazionale, consulente per 5 anni presso gli uffici di Parigi, Tokyo e Città del Messico. Ed infine membro dell’ufficio italiano con sede a Milano, dove viene nominato Principal nel 1979 e Director nel 1984.

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Dal 1999 al 2006 è stato senior sponsor dell’ufficio di Tel Aviv e membro del leadership team dell’area mediterranea di McKinsey. Nel 2006 diventa director Emeritus McKinsey e lascia la società dopo 35 anni. Ha fatto parte di consigli di amministrazione di imprese globali, quotate la Borsa di New York, Teva, multinazionale farmaceutica, nella Borsa di Londra, Admiral, assicurazione digitale, al Nasdaq, Caesarstone, materiali innovativi, di cui oggi ancora membro,

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Atela Viv, Fenix, Assicurazione Vita e danni, di cui oggi ancora membro, e italiani come BNL e BenPay, di cui oggi ancora membro, e in passato Luxottica, Cofide, S Lunga, Yamamai e Coesia. Fa parte inoltre di consigli di amministrazione e di startup tecnologiche, tra cui oggi Genenta, la startup del San Raffaele di Milano. In aggiunta è advisor di fondi di private equity, in Italia oggi Centerbridge, in passato Maggenda e Clesitra, e di fondi di venture capital in Italia e in Israele.

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Dal 2007 al 2014 è stato membro del board dell’Istituto Italiano di Tecnologia. È attualmente membro dell’Advisory Board del Politecnico di Milano e presidente del Comitato di Advisory dell’Insead in Italia. Nel 2010 è stato selezionato tra i 50 alumni che hanno cambiato il mondo in occasione del 50enario della fondazione dell’Insead. Dal 2008 è editorialista del Corriere della Sera e autore di 4 saggi di successo. Meritocrazia, regole, Italia cresci o esci, la ricreazione è finita.

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scegliere la scuola, trovare il lavoro. E di ultima uscita Aristocrezia 2.0, che è la base di partenza della discussione di oggi. I contenuti del saggio sono riepilogati in questa clip.

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Oggi tutti sono molto preoccupati per l’impatto economico della pandemia e sulla velocità della ripresa. Ma per l’economia italiana la vera preoccupazione è che rischia di un riprende sia fatto, come è avvenuto dopo l’ultima crisi del 2008.

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Questo perché è da quasi mezzo secolo è incapace di sfruttare le grandi trasformazioni economiche. Prima da industriale a post industriale e poi alla cosiddetta economia della conoscenza, che è fatta di innovazione, digitale, scienze della vita, finanza avanzata. In trent’anni ha perso l’equivalente del reddito del Portogallo e della Grecia messi assieme. L’economia della conoscenza sarà accelerata dalla pandemia. Pensiamo all’e-commerce.

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E’ qui che entra in gioco il titolo del libro Aristocrasia 2.0. Nel secolo scorso si è sviluppata la meritocrasia e milioni di giovani si sono impegnati nelle educazioni superiori per migliorare il loro status economico e sociale. L’economia della conoscenza di questo nuovo secolo ha fatto esplodere il premio per questa nuova elitta. Gli uomini più ricchi degli Stati Uniti hanno studiato nell’università delle Ivy League.

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E così che sono nate le critiche nel mondo anglosassone a una nuova aristocrazia dell’istruzione del talento che oltre a essere iper ricca favorisce mille modi i figli nell’accedere alle migliori università. Eppure, se la meritocrazia ha fallito nelle pari opportunità ha però creato un milione di buone opportunità per i giovani che emulando l’elite investivano nella migliore istruzione e facevano carriera nelle grandi imprese.

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ciò è avvenuto in occidente e avviene sempre più in Asia, dove la selezione sulla migliore istruzione sta diventando il motore dello sviluppo. In Corea il 70% dei giovani sono laureati e hanno un reddito due o tre volte quello del loro genitore. Da noi invece la meritocracia non è mai davvero decollata. Siamo il fanalino di coda e il numero di laureati. Siamo tra i paesi con più donne nei CDA ma pochissime donne nel top management. Sono mancati i valori della vera meritocracia.

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l’eccellenza, la competizione e l’ambizione.

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ma soprattutto sono mancati di incentivi per il talento e l’istruzione, perché l’economia è rimasta nelle mani della vecchia aristocrazia, un ecosistema capitalista responsabile delle catombe delle grandi imprese industriali, della vendita di quelle del Made in Italy e di un crescente digital gap in quelle che rimangono. Le nostre università si sono chiamate fuori dalla competizione globale del sapere e le migliori languono nelle classifiche globali.

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Infine una burocrazia che strangola lo sviluppo non per colpa dei troppi fannulloni, ma della paralisi decisionale provocata da una sfiducia nello Stato e un timore della corruzione che non hanno eguali in occidente e che hanno portato a un potere giudiziario totalmente autoreferenziale.

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Per saltare sul treno dell’economia e della conoscenza abbiamo bisogno proprio dell’aristocrazia 2.0. Nel saggio spiego che da noi è possibile. Racconto storie di aristocratici 2.0 italiani che stanno già cambiando l’economia del Paese. Per rafforzare gli dobbiamo far nascere un nuovo capitalismo rifiutando lo statalismo di ritorno post pandemia e portando i migliori capitali privati della borsa dei private equity nelle aziende migliori.

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Fare nascere un sistema universitario, un meritocratico che ricerchi l’eccellenza globale. Maggiore pesi e contrappesi alla magistratura che la renda più responsabile nei confronti del Paese, rendendo così più efficiente la burocrazia.

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Io con questo saggio mi rivolgo ai giovani italiani che cercheranno di emulare gli aristocratici 2.0 ricercando la migliore istruzione e carriera all’interno di grandi aziende per migliorare la propria qualità di vita e salvare il paese dal post pandemia.

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Benvenuto quindi a Roger Abravanel e grazie per la tua partecipazione. Nella clip introduttiva abbiamo ascoltato un riepilogo degli ottimi contenuti del tuo libro, di cui riportiamo nella descrizione dell’episodio il link per l’acquisto su Amazon, e importanti spunti di riflessione per il prossimo futuro. Ma se sei d’accordo Roger, comincerei la nostra discussione da una prima domanda fondamentale, visto che non possiamo capire il presente, le prospettive e soluzioni per il futuro senza analizzare il passato. Ho segnato una piccola nota storica per partire con la prima domanda.

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era il 16 maggio 1991, quando il Corriere della Sera intitolò

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l’Italia, quarta potenza al mondo. L’Italia aveva sorpassato Francia e Inghilterra nel valore del prodotto interno lordo e dal 1950 al 1992 il valore assoluto del pil reale quadruplicò, aumentando in media del 4% anno. All’alba degli anni 90 l’Italia era la quarta economia mondiale e soprattutto aveva reso i suoi cittadini tra i più ricchi del mondo. La sostanziale crescita economica si tradusse in un considerevole sviluppo sociale delle condizioni di vita di tutta la popolazione.

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salari medi percepiti dai lavoratori italiani era inferiore solo a quello di giapponesi, americani e tedeschi. Gli italiani si sono inoltre rivelati tra i più grandi risparmiatori del mondo quando nel 1970 il tasso di risparmio all’Ordo in relazione al PIL superava il 25%.

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Nel 1992 il paese entrò in recessione per la prima volta dopo 19 anni e proprio il 1992 credo possiamo definirlo come lo Spartiacque di un’Italia che si trasformò da essere una delle economie più flori del mondo a fanalino di coda dell’Europa. Caro Roger, ci racconti in breve la storia della competitività italiana e come siamo arrivati a questo punto?

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Ma intanto ti dico subito che è cominciata prima del 90. Se chiediamo agli italiani medi, tutti pensano che la crisi nostra è cominciata addirittura, si parla dell’ultima crisi della finanza mondiale che è avvenuta circa dieci anni fa. Però mediamente la politica attribuiscono all’ingresso nell’euro, nel 2000, nel nuovo secolo, la crisi addirittura c’è chi propone ancora come soluzione un’uscita.

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Però ci sono i più informati come lei che si ricordano la crisi del 92 e dicono quel momento l’Italia era ricca, era la quarta potenza, eccetera. Il problema è che è cominciata molto prima. Credo che pochi capiscono quanto sia cominciata prima e perché. Facciamo veramente un po’ di storia. Negli anni 50 e 60, subito dopo la guerra, l’Italia emergeva.

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dalla guerra con un’economia fondamentalmente agricola e in poco tempo ha fatto una trasformazione da economia agricola a economia industriale e de facto se andiamo a vedere quello che già succedeva, quei tempi cominciava a industrializzarsi, nascevano le grandi aziende industriali e soprattutto cominciava ad avere, a nascere questo modello economico dei distretti industriali che molto si è adatta al tipo di società e di cultura italiana fatta di capitale sociale

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nel territorio. Quindi a questo punto c’è stata un’esplosione. Ricordiamo che in quel periodo sono nate le grandi imprese, la Falch, l’Ital Cedar nell’acciaio, nell’automobile, è persciuta la Fiat, è esploso moltissimo. La Fiat cominciava a industrializzare e tutti gli italiani cominciavano ad avere la Fiat.

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500, la 600 come prima, la motorizzazione, poi ricordiamo le elettrodomestici, il tessile, il cemento, l’olivetti, queste grandi imprese. Poi si scoprì il metano in Val Padana, le infrastrutture. Fondamentalmente lo sviluppo del commercio internazionale favoriva questi distretti anche perché i costi erano bassi. A quei tempi i nostri costi erano bassi, quindi eravamo un’economia che esportava a basso costo. Peraltro, oltre a queste grandi imprese industriali che quindi nascevano perché si industrializzava

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le importazioni di acciaio e avevano costi bassi, nascevano tutti questi distretti che sono stati studiati negli anni 80 addirittura dall’accademico Michael Porter di Harvard come modello di sviluppo, hanno cercato di copiarli un po’ dovunque. Il PI d’italiano cresceva moltissimo perché oltre a crescere il PI pro capita e la produttività, cresceva anche la popolazione. In quegli anni c’erano 2,6 figli per donna contro 1,29 di oggi e così l’Italia in quel periodo

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mondiale, le opportunità di nuovi mestieri meglio retribuiti abbondavano, la nuova generazione sostituiva la classe borghese per un reddito, una qualità di vita molto superoio di quella precedente che erano agricoltori, operai, cominciavano a nascere i figli che erano diplomati di perito industriali. A questo punto l’economia italiana, tutti i dati dimostrano che cresceva più della media europea e John Kennedy venne in Italia a congratularsi con Antonio Segni nel 1963. Questo modello di sviluppo.

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ha cominciato a incrinarsi proprio in quegli anni, negli anni settanari.

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e anni 80 perché questo modello ha cominciato a perdere colpi e questo io poi lo analizzo molto bene in dettaglio nel libro perché de facto piego che la nostra economia italiana privata non è riuscita a evolvere dall’economia industriale, di cui riuscire a andare dall’economia post industriale, quella dei servizi e poi l’economia della conoscenza. Solo che gli italiani non se li sono accorti perché negli anni 80, fino agli anni 70, agli inizi anni

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quella delle Regioni, lo Stato spendeva i soldi in modo scriteriato non solo nelle assunzioni della pubblica amministrazione ma anche sulle infrastruzioni. Ricordiamo che l’Irpigna dell’80 costò ben oltre 100 miliardi di euro di oggi, tenendo conto dell’infazione, 100 miliardi. Poi c’erano le Regioni, le Province, i Comuni che moltiplicavano le opportunità di spesa. A questo punto esplodeva l’economia pubblica e il debito.

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che in vent’anni dal 25-30% del PIL, durante il miracolo economico, diventava più del 100% del PIL. E che cosa succede? Che l’economia continuava a crescere, no? Perché tu ti indebiti e cresce. E gli italiani diventavano più ricchi, comunque. Solo che non era una vera ricchezza. E non una ricchezza drogata dalla spesa pubblica. Che cosa è successo? Quando l’economia reale, quella delle imprese private, aveva cominciato a perdere produttività molto prima degli anni novi.

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Dopodiché cosa è successo? Poi è arrivata la doccia fredda, quando a un certo punto il livello della spesa pubblica e del debito è arrivato a livelli insostenibili e abbiamo avuto il default del governo amato nel 1992. Perché? Perché a questo punto non si poteva più spendere e a questo punto l’economia ha cominciato a non crescere come le altre. Quindi in un certo senso il motore della crescita degli anni precedenti al 92, che era la spesa pubblica, si è fermato.

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e poi con l’ingresso dell’euro si è fermata definitivamente. Quindi la nostra economia è 40 anni che ferma. E in 30 anni, io ho fatto il calcolo, il nostro PIL ha perso l’equivalente del reddito del Portogallo e della Grecia messi assieme. Tutto questo è fondamentale per capire quello che succederà adesso. Perché noi siamo entrati nella crisi della finanza del 2008, debolissimi e infatti siamo gli unici che non ci siamo mai ripresi. Perché se vai a vedere quello che successe nel 2008…

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in quel periodo, noi in realtà nell’anno della crisi non abbiamo perso molto più della Germania, ma nei dieci anni successivi la Germania è ripartita come un treno e noi siamo ancora fermi. Questo è il vero problema, che entrando così deboli nella crisi del Covid, noi rischiamo di non riprenderci mai. Ed è questo il mio primo capitolo del mio libro, che è fondamentale questa diagnosi per capire perché senza una buona diagnosi non c’è una buona soluzione.

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Grazie Roger, ma volevo chiederti quali a tuo parere sarebbero stati gli interventi da mettere in pratica al tempo e quali paesi a tuo parere sono stati in grado di intervenire in modo adeguato e chi è più avanti di noi in Europa?

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poi spieghiamo cosa c’entra con l’aristocrazia, tutto questo 2.0 che è il titolo del saggio. Il punto è questo, che quello che è successo non è stato solo i governi, i paesi e la politica.

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Sono stati gli ecosistemi economici e sociali delle società avanzate, sicuramente gli Stati Uniti, ma il mondo anglosassone, l’Europa, soprattutto l’Nord Europa e adesso sempre più recentemente l’Asia. Perché quello che è successo e che io spiego molto molto in dettaglio nei primi capitoli del saggio è che dopo l’economia industriale, manufatturiera, quando i nostri telegiornali vogliono ricordare l’economia fanno vedere sempre una fabbrica con degli operai che lavorano. Non è più così, non è più così da tantissimi anni.

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detto da 30-40 anni, ormai la gente che lavora nelle fabbriche rappresenta il 15-20% dell’economia in tutto il mondo e sempre meno. Oggi contano i servizi, lei stessa è un servizio, io ho lavorato su stati servizi, le banche, la grande distribuzione, il software, le telecomunicazioni che hanno rappresentato negli anni 60 e negli anni 70, 80, 90 e fino quasi alla fine del secolo scorso un enorme sviluppo delle cose.

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Un premio Nobel solo, che sono ricordi esattamente la data ma nel saggio c’è, disse che la crescita dell’economia americana…

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che in quei tempi veniva fortemente attaccata, forse ricorderà, da quella giapponese tedesca. Non era dovuta all’informatica e ai computer, i cui i risultati si vedevano dappertutto tranne che sui dati di produttività, ma era dovuta a Walmart, perché Walmart era una società di servizi che ha rivoluzionato completamente dai piccoli supermercati sotto case e negozi e ha aumentato la produttività. Allora, questa transizione è stata poi seguita successivamente da un’ulteriore transizione che viviamo oggi,

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dell’economia della conoscenza, l’economia in cui la ricchezza viene creata non più dalla manualità, ma dall’innovazione, dall’innovazione, dalla scienza, dalla tecnologia, dal digitale. Basta vedere oggi col Covid, il miracolo dei vaccini. Grande aziende farmaceutiche che hanno in un anno, io ero stato una consiglia di amministrazione di un’azienda farmaceutica per più di dieci anni, fare un vaccino che funziona e che sia efficace in un anno è un miracolo. E questa è l’economia

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banche viene trasformato dal digitale alle assicurazioni, si applica anche al manufatturiero, il 4.0, si applica anche all’agricoltura. Quello che è successo a queste economie che sono avanzate, che sono cresciute e che hanno sfruttato in maniera straordinaria a livello di ecosistema capitalistico questo come fondamentalmente nutriendo imprese che magari cominciavano come startup innovative e poi diventavano dei colossi. Basta vedere come è evoluta la classifica delle

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del mondo 4300 era la General Motors poi è diventata la Walmart che è un supermercato e se uno va a vedere adesso comincia a vedere come chi vede, Apple, Amazon non sono le più grandi ma sono sicuramente quelle che valgono più in borsa. Allora le grandi imprese, più che grandi imprese aziende che volevano diventare grandi, quindi start-up innovative e grandi imprese. E questo ecosistema è quello che ha fatto la crescita.

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Grazie Roger, ma volevo chiederti a tuo parere perché l’economia della conoscenza non si è sviluppata in Italia? Credi sia anche legato al fatto che le imprese familiari magari hanno incarichi, tra virgolette, genetici, quindi da padre in figlio?

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Allora l’Italia, e questo è il punto chiave da capire per come uscire dal post-covid, non ha fatto questa transizione. Siamo rimasti con un ecosistema molto legato ancora a quello del miracolo economico, le piccole imprese, piccole belle, i distretti industriali. Noi non abbiamo molto legato al territorio. L’ecosistema di piccole aziende…

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legata al territorio, molto legata all’esportazione, invece di grandi imprese, manufatturiere, di servizi, di tecnologia, nelle grandi città. Questa perdita è quella che è costata enormemente all’economia, perché se andiamo a vedere il problema nostro vero su…

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questa perdita di ricchezza non è dovuta a disoccupazione, perché addirittura la disoccupazione è stata più alta, soprattutto quella giovanile, ed è ancora alta, ma è dovuta agli stipendi più bassi, ai salari bassi. Perché quando lo Stato non poteva più pagare stipendi alti per la pubblica amministrazione, tutti i dati dimostrano che noi abbiamo stipendi bassi, salari bassi. E se abbiamo salari bassi, non è dovuto ai sindacati che hanno negoziato.

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è dovuta al fatto che sono mancati quelli che io chiamo nel mio saggio i high value jobs, i high value jobs, i mestieri ad alto valore, che tipicamente sono quelli che erano quelli dei diplomati, ma sono sempre quelli dei laureati. Cioè l’Italia è il fanalino di coda in numeri di laureati. L’economia che è più straordinaria di crescita degli ultimi dieci anni è l’economia coreana in cui il 70% sono laureati. E questo perché? Perché le imprese private, non lo

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Leni, Le Poste, tutte queste aziende qui. Ma le imprese private, familiare italiane, non hanno fatto questa grande transizione. Quindi il capitalismo familiare italiano, per me è un capitalismo che ha in larga parte fallito. Io racconto nel mio saggio le catombe delle grandi imprese industriali del secolo scorso. È tutto il made in Italy, anche nei settori dove noi siamo forti, tipo la moda. Le più grandi imprese del mondo della moda sono francesi. Il terzo uomo più ricco del mondo è Arnaud, che ha fatto il Vemash, che continua a comprare

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nostri marchi. Quindi noi non siamo stati capaci di sfruttare questa transizione dell’innovazione in gran parte per colpa di questo capitalismo familista e non familiare che non ha creato i high value jobs e quindi gli stipendi sono rimasti bassi e l’occupazione non è cresciuta molto più di tanto.

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Grazie molte di questa panoramica così profonda ma volevo chiederti, avendo visto il passato e un anticipo della tua visione sul presente, come è possibile a tuo parere incentivare l’economia della conoscenza e dare lo slancio adeguato per recuperare la competitività?

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A questo punto dobbiamo parlare un po’ del libro e del titolo del libro che si chiama Aristocrazia 2.0 una nuova elite per salvare l’Italia. Le potrebbe chiedermi cosa c’entra tutto questo con l’Aristocrazia 2.0 che è il titolo del libro? Allora, bisogna capire che mentre nell’economia avanzata avveniva questa transizione all’economia delle conoscenze, si è sviluppata la meritocrazia. Il mio primo libro scritto dieci anni fa, il mio primo tentativo…

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di scrivere qualcosa si chiamava meritocrazia. E cos’era la meritocrazia? La meritocrazia ha una data, è nata 1933 a Harvard quando James Conant, che era il presidente di Harvard, decise che da quel momento a Harvard non sarebbero entrati solo i rampolli che giocavano a Polo, figli di…

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tutti i bravi che potessero passare un test che si chiamava SAT, Scholastic Aptitude Test, non molto diverso dai nostri invalsi di oggi, e quelli bravi avrebbero avuto una borsa di studio. Tra il 1933 e il 1967-70, proprio quando avveniva questo passaggio di economia post-industriale, si è rivoluzionato l’ingresso nelle Ivy Leagues e milioni di giovani magari non riuscivano ad entrare nelle Ivy Leagues, però cercavano di laurearsi e migliorare.

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all’aristocrazia. Qui c’è un dibattito molto attuale perché fondamentalmente nel passaggio dall’economia post-industriale all’economia della conoscenza il premio per questi super bravi selezionati che si laureavano nel migliore università esplodeva, esplodeva inventavano un algoritmo e diventavano ricchi come Bill Gates

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oppure anche la finanza tecnologica, i software, i sistemi di controllo dei rischi automatizzati tipo quelli che le conosce bene. Quindi il risultato è che se oggi prendi i dieci uomini più ricchi d’America, tutti laureati alle Ivy League nelle migliori università d’America. I due non laureati sono Gates e Zuckerberg, che però sono degli dropout di Harvard, quindi comunque erano stati selezionati. Attenzione, non era un problema di formazione, ma un grande problema anche di sollezione. Per entrare devi essere selezionato, bravo, e quindi è

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si apre il mondo. Cos’è successo? Che simultaneamente a questa esplosione del premio è esplosa nel nuovo secolo l’ineguaglianza. E quindi cosa succede? Che queste università, la stessa Harvard dove è nata la meritocrazia, ha cominciato a criticarla.

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più grossi critici, la tirania della meritocrazia, il merito della meritocrazia, dove sono professori di Harvard, Yale e di cose, perché dicono non è giusto. Allora io non entro su questo dibattito, anche su un punto di vista, però il problema di fondo è che se vogliamo dirlo in due parole, quando io scrisse meritocrazia in Italia, era una brutta parola prima, ma poi divenne quasi una parola accettata. Perché? Perché a tutti piaceva quest’idea delle pare opportunità. Se tu sei bravo, ricevi una borsa di studio e quindi sostituiva legalitarismo socialista.

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La verità è la ragione per cui il termine meritocrazia è stato creato da un laborista che si chiamava Michael Young nel 1958, in un libro che si chiamava The Rise and Rise of the Meritocracy. Quello che in effetti si sta rivelando è che queste pare opportunità adesso

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ci sono un po’ meno, perché sicuramente nel corso di cent’anni sono aumentate, perché chi va a Harvard, a Yale, a Oxford non sono più i rampolli che giocano a Polo, ma sono figli di una classe borghese. Però è anche vero che queste persone ultra ricche fanno di tutto per favorire i propri figli e passano loro l’eredità, non è più un’eredità dell’aristocrazia antica che ti passo un feudo, piuttosto che ti passo degli immobili o da internet,

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fenomeno è diventato globale. La figlia di Xi si è laureata a Harvard, i cinesi miliardari finanziano porse di Harvard, Yale, per poter fare sì che i propri figli poi riescano poi a entrarci. Quindi sicuramente la meritocrazia, grazie o per colpa dell’economia della conoscenza, non ha creato queste pare opportunità più tanto, ma quello che io dico è che ha creato tante buone opportunità, perché l’economia della conoscenza, alimentata da questo capitale umano molto selezionato, ha…

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creata opportunità per tutti. Perché alla fine non sono solo queste litre dell’1% a migliorare. Sono tutti i giovani che cercando di entrare nell’1% o nel 10% si laureano, si sforzano e diventano più ricchi dei loro genitori. Questi ragazzi coreani, il 70% si laureano, non sono tutti l’elite dell’1%. Però guadagnano due o tre volte il loro genitorio e il pill della Corea è esploso. Questo è quello che è mancato al mondo.

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Grazie Roger, ma volevo chiederti se questo se ho capito bene è il maggiore problema in Italia, quindi questa trasferibilità della conoscenza e quindi della capacità di accedere ai migliori studi e quindi di creare la nuova generazione di leader, non è avvenuta in Italia? Credi che sia anche dato da un cattivo esempio che notiamo ai vertici delle aziende, delle istituzioni e cosa a tuo parere possono fare i policy makers, le università per incentivare questo processo?

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Ma allora, le cause di questa mancata transizione, quindi mancata creazione di opportunità per i giovani, se vuoi diciamo le grandi aziende, ho dimenticato di dire che dopo questa distruzione di ricchezza degli industriali, del Made in Italy, adesso il Digitali, noi siamo il fanalino di coda delle grandissime imprese. Perché noi abbiamo media imprese.

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come gli altri paesi, ma mancano le grandissime e mancano anche le startups, che poi diventano grandissime, giusto? Quindi noi mancano questo e questo la responsabilità è chiarissima ed è del capitalismo dell’ecosistema, famiglista. Atenzione, non sono solo gli imprenditori, è l’ecosistema, è il salotto. Io faccio l’esempio di saggio di Bloomberg verso Berlusconi. Bloomberg, che non è neanche quotato, ha due figlie straordinarie, laureate a Princeton,

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di mettere a lavorare nell’azienda, ma non perché non gli voglia bene o altro, ma perché se l’avesse fatto si sarebbero i voluti contro le banche che gli davano i soldi, i suoi fornitori, i suoi dop… Perlusconi, un imprenditore strabrillante, ha messo i suoi figli, che guardare il loro curriculum accademico non sembra neanche l’altese, tutti nelle proprie imprese. Allora quello che succede è che non è quindi colpa degli imprenditori, noi abbiamo degli ottimi imprenditori in Italia, è colpa dell’ecosistema che gli permette di fare questo.

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Perché per i loro interessi? Perché le banche e tutti questi sistemi del salotto, invece di sfidare il capo impresa a non fare una certa cosa, glielo fanno fare perché è nel loro interesse, perché gli dà i crediti, gli dà il fornito, gli dà tutti i conflitti di interesse colossali che abbiamo avuto. Io queste cose le capisco bene perché conosco il mondo dei grandi impresti. Questa è una ragione. Ce ne sono altre due. Le università. L’economia della conoscenza ha trasformato il sistema universitario nel mondo. Perché cosa succede?

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perché c’è stata la corsa alla competizione per il saper intellettuale. Tu vai a vedere MIT, Stanford, creano milioni di posti di lavoro. Perché? Perché sono eccellenti, ma non sono nella ricerca scientifica in tutto. E allora, che cosa è successo? Che all’inizio di questo secolo, quando è cominciata l’economia della conoscenza, è esplosa le classifiche. Queste classifiche che sono molto soggettive, perché la università è come una città, è difficile dare la qualità. Pensa a quante persone criticano e dicono Milano ha la qualità della vita, però alla fine contano.

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Perché cosa succede? Sulla base di queste classifiche arrivano i fondi privati e pubblici, sempre più privati ma anche pubblici. Il Politecnico di Zurigo è la sesta università del mondo e ha finanziamenti pubblici per 1,2 miliardi contro 400 milioni della migliore università italiana sotto questo aspetto che è quel Politecnico di Milano. Se tu vai a vedere cosa succede?

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tu hai nelle classifiche, la migliore delle nostre università che è il Politecnico di Milano è il numero 149. La Bocconi che è un’eccellente università anche lei, non appare perché è in una nicchia il social science, dove li fa molto bene. Le università italiane si sono chiamate fuori e questo perché? Per una profonda mancanza di volontà di competere, perché la meritocrazia vuol dire competizione, accettare di competere, non vogliono essere valutate. E la cosa più straordinaria è

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universitari. E segnalo che il libro uscito questa settimana o un coro già di accordo di supporto gli unici che già hanno ripreso a criticare sono molti docenti universitari.

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Grazie Roger devo dire interessante volevo solo chiederti ma secondo te è un problema dal basso quindi una mancanza culturale di apprezzare determinati standard oppure è quella che non so se possiamo definire la vecchia aristocrazia che mantiene le posizioni e rende inaccessibile lo sviluppo il progresso e quindi la aristocrazia 2.0

29:52
No, ma sicuramente noi abbiamo ancora l’aristocrazia 1.0, perché la critica all’ameritocrazia in Italia è esplosa di nuovo dopo che è nata la critica all’aristocrazia in America. Ti dico, guarda gli americani stessi criticano l’ameritocrazia. Piccolo dettaglio, da noi l’ameritocrazia, l’aristocrazia 2.0 non c’è, c’è l’aristocrazia 1.0 di questi signori che passano ai figli, le proprietà delle aziende, del potere, i studi legali, i notarili, addirittura. Quindi noi non l’abbiamo.

30:19
Chi blocca questo cambiamento? Sono tre, sono le tre diagnosi, me ne mancava una. Avevo detto il capitalismo familiare, quindi se vuoi l’ecosistema capitalista. L’università, che in tutto il mondo sono stati sempre i protagonisti della trasformazione delle economie e della società, da noi sono quelli che frenano. Nel mondo gli università, gli atenei sono i templi della meritocrazia, da noi sono i bastioni del nepotismo. Ma poi c’è una terza cosa, che è la burocrazia. Io ho un capitolo sulla burocrazia, allora andare a dire agli italiani che la burocrazia è un problema,

30:49
non è nulla di nuovo. Quello che io spiego però è che il problema non è come lo vedono gli italiani, e cioè che gli viene spiegato, non perché gli italiani non capiscono ma perché i media non glielo spiegano, che è la colpa dei fanulloni della pubblica amministrazione. Guarderemmo tutti, un ministro del governo Berlusconi che voleva licenziare i fanulloni, ha messo in torno a queste cose. Ancora oggi uno vede, però io spiego che il problema della burocrazia, se vuoi siamo noi stessi italiani, perché noi abbiamo avuto questo terribile…

31:17
momento di Tangentopoli che ha fatto di noi effettivamente un paese corrotto forse più della media. Ma oggi sono passati più di 20 anni e oggi se uno va a vedere tutti i sondaggi mondiali del World Economic Forum gli italiani sono quelli che considerano la propria pubblica amministrazione più corrotta di quanto i nigeriani considerino la propria e di quanto i russi considerano.

31:39
e questo non è vero, non è assolutamente vero. Che cosa quindi porta a questo? Se tu ritieni che tu devi bloccare una politica, una pubblica amministrazione, corrotta e troppo forte, cos’è che vuoi? Vuoi una magistratura molto potente. E una magistratura molto potente fa sì, e io racconto nel mio saggio gli appalti, i musei, fa sì che si crei una paralisi decisionale. Non sono i fannulloni, lo stiamo vedendo durante il Covid, i medici, gli infermieri, come si sacrificano,

32:09
Ma quando vai a vedere gli appalti, adesso si parla tanto del next generation, le infrastrutture, ma si paralizzerà tutto perché tutti hanno paura di decidere perché il funzionario della pubblica amministrazione, scom’è che si presuppone che sia corrotto, interviene immediatamente questa famiglia professionale giuridica che interviene. Io ho fatto un lavoro nel mio…

32:29
libro, ho studiato per sei mesi tutti i sistemi della magistratura europei, ma non le leggi, come sono l’organizzazione, cosa quanto ex consulente posso capire. E il nostro sistema della magistratura è in assoluto quello che a meno controlli, è totalmente autoreferenziale. Lo scandalo del CSM che in questi giorni viene tutto spiegato come un sistema

32:50
è una cosa che può nascere solo da noi perché fondamentalmente noi abbiamo, non è tanto CSM il problema, è l’ANM il sindacato, l’unico sindacato insieme a quello della scuola che ha una potenza colossale, per cui i nostri magistrati non sono responsabilizzati nei confronti della società e dell’economia di fare delle cose e non sono controllati. Vi si dice una dei timori che è l’uomo forte.

33:15
abbiamo avuto Mussolini. Bene, in Germania dove hanno avuto Hitler non esiste il CSM, i procuratori vengono nominati dal governo. Però cosa succede? Che per valutare i magistrati in Germania ci sono 28 criteri dettagliatissimi per valutarli e c’è un 1% eccellente, un 10% molto buono e finiscono così. In Italia la valutazione è fatta in maniera molto più superficiale perché conta il sindacato, sono 95% eccellenti, quel minimo che non lo è…

33:43
fa causa ai magistrati che li hanno valutati. Quindi la burocrazia nostra è il risultato di questo strapotere che si è creato che fa una paralisi decisionale. E quando uno pensa al Next Generation Fund che è fatto molto di spesa di appalte di infrastrutture, succederà esattamente la stessa cosa. Poi non è che possiamo fare la soluzione di commissariare tutti. Il Ponte Morandi ha funzionato, ma non è che possiamo avere 50 commissari.

34:10
Sono perfettamente d’accordo, credo solo che gran parte della colpa sta proprio agli italiani e alla loro capacità di accettare anche determinate logiche dal basso. Non so se sei d’accordo su questo e soprattutto se ritieni che spesso la classe politica è quella che un paese si merita, perché la cultura alla base è molto bassa e ti voglio chiedere se secondo te ha danneggiato la TV commerciale questa mentalità un po’ particolare.

34:37
No, io penso che in media, non solo quella commerciale…

34:41
Io sono un grande ammiratore, ho letto tante volte La Casta, è un libro straordinario, però comunque ha alimentato quest’idea del fannulloni, corrotto. Quindi i media in generale hanno fatto questo. È verissimo che noi italiani siamo i primi responsabili, perché se pensiamo che la nostra pubblica amministrazione sia fatta di persone corrotte, fannulloni e lo stesso anche la politica secondo me, a questo punto siamo noi che diamo questo potere. Chiaramente c’è una storia dietro tutto questo.

35:11
Il Parlamento non ha mai avuto tanto potere, da tempo in cui è nata la Repubblica proprio non l’ha mai avuto. E quello che è successo è quando il tentativo di riequilibrio del potere politico tra la democrazia cristiana e il centrosinistra ha dato una forma di contentino al Partito Comunista, andandogli il

35:30
portando questo potere alle toghe rosse, alla magistratura, togliendo potere alla gerarchia perché quello che è importante è togliere il potere alla gerarchia è stato vale anche nella scuola, i presidi che contano moltissimo, si è stato tolto il potere. Quindi una delle soluzioni è restituire il potere alla gerarchia che sembra essere una delle piccole cose che appare in questo Next Generation Fund, una delle poche cose che sembra avere molto senso.

35:54
A me piace sempre vedere dei buoni esempi che possano essere da traino e quindi volevo chiederti ma credi che le poche multinazionali italiane siano guidate da aristocratici 2.0 e secondo te qual è una best practice aristocratica 2.0?

36:12
Allora, chi è l’aristocratico 2.0 e cosa c’entra in tutto questo? L’aristocratico 2.0 è qualcuno che crede che passare ai propri figli un accesso privilegiato a una buona istituzione superiore sia un vantaggio per loro, dopodiché li aiuta a fare questo. Poi non tutti possono essere aristocratici 1.0, perché rappresenta una quota, però quello che è molto importante è che i giovani italiani recuperino fiducia nella possibilità che questo possa avvenire.

36:41
Da un lato si devono creare le opportunità, loro possono fare poco su questo. Io ho delle proposte concrete se vogliono e prepariamolo. Ma l’altra cosa è che devono impegnarsi. Oggi io andavo in giro quando ho scritto uno dei miei ultimi missaggi nelle migliori università e ho detto alzi la mano chi pensa che con questa laurea gli si apre il mondo delle opportunità nel mondo del lavoro. Nessuno alzava la mano. Se fosse stato in Corea alzavano tutti la mano.

37:04
Quindi restituirgli fiducia. In Italia abbiamo degli aristocratici 2.0, un raccolto delle storie, giovani che hanno sfruttato una bellissima azienda di assorin. Io conoscevo Umberto Rosa, che ha creato l’assorin, un scienziato di grande valore che era stato messo dalla famiglia Agnelli a creare, volevano creare, energia nucleare, poi naturalmente il nucleare non si creò, lui si trovò con tutti questi fisici e chimici e creò l’assorin, che divenne una società biomedica. Il figlio lo ha privilegiato. Il figlio…

37:34
Carlo Rosa. Lo ha privilegiato perché anche il figlio si è laureato in chimica, vuole arrivarsi in medicina, quindi veniva da una cultura scientifica e il figlio è entrato alla Sorin come ingegnere o come chimico, ingegnere chimico o chimico non ricordo. Però dopo un po’ si è andato per la sua strada perché c’era una piccola nuova unità che era la parte, chiamiamola diagnostica. Dia Sorin vuol dire diagnostica. Andò in America, creò la filiale, poi a un certo punto però la Fiat e la Sorin decise di vendere questa società.

38:01
la comprò una grande multinazionale americana, la ideal standard, che poi decise di rivenderla subito dopo. E lui si creò un leverage buyout, comprandola assieme ad una famiglia di imprenditori torinesi, che si chiamano The Negri, per 100 milioni. Oggi la società vale 9 miliardi in borsa ed è tra quelli che fondiscono i test diagnostici per il Covid. Questo uomo? Perché è una bella storia. Perché è un aristocratico 2.0, sia lui che suo padre, che non c’è più. Perché sicuramente è stato favorito.

38:29
ma non attraverso denaro o attraverso imprese, ma un accesso, una spinta che però lui ha sfruttato grazie alle sue capacità. Questa è la speranza che il mio saggio dia questo coraggio, sia ai padri che ai figli per fare cose di questo genere, però ci vogliono altre cose. Quindi io ho delle proposte concrete, non 1500, per crearle le opportunità.

38:52
Ti va di approfondire questo aspetto delle tue proposte? Sì, allora affrontiamo le proposte. È chiaro che in questo periodo del post-COVID c’è stata una cacofonia di gente che ha fatto tutti hanno fatto proposte, tutti quanti, anche alcuni miei coleghi, centinaia di proposte, mille proposte, quaranta, poi uno ha fatto solo tre. Anche perché il problema delle proposte è che devono…

39:12
essere un po’ fattibili. La prima proposta è legata al problema del capitalismo, creare un nuovo capitalismo. Oggi c’è un grandissimo rischio, il rischio di uno statalismo di ritorno. Non siamo molto capaci di salvare le imprese, non si vede l’Alitalia, l’Ilva. Ecco noi rischiamo in questo momento di trovarci con quello che sta succedendo con 200 all’Italia. Lo stiamo vedendo tutti i giorni, allora quello che lo stato deve fare e deve invece stimolare il capitalismo quello che crea valore, che non è quello familiare.

39:42
Un capitale di uno familiare diverso di uno familiare all’estero è un gran successo. Di uno familiare italiano, a parte pochi casi, tipo Campari, sono pochi. Quindi cosa bisogna fare? Attrarre capitali intelligenti di italiani aristocratici 2.0.

39:57
che investono e ci sono esperienze di altri paesi. Per esempio, in Scandinavia o in Israele, durante la crisi del secolo scorso, lo Stato metteva del denaro per fare dei fondi per aiutare le imprese, li faceva delegare e il fondo internazionale che vinceva è che vinceva perché aveva gente brava, onesta.

40:16
che non fregava, metti caso mettesseva 300 milioni di dollari, lo Stato ne metteva 300 e l’incentivo qual era? Che se il ritorno ci fosse stato, lo Stato avrebbe ripreso i suoi 300 milioni ma il ritorno sarebbe andato tutto.

40:29
all’investitore. Quindi fare esplodere il mondo del private equity. Io ho storie di questo genere, per esempio in Italia siamo fortissimi nelle biotecnologie, non abbiamo un venture capital serio nelle biotecnologie. Chi è che vuole fare oggi venture capital nelle biotecnologie? La cassa di depositi e prestiti. Lo Stato non può fare questo, lo Stato deve attrarre i capitali privati, ma non perché magari non c’è gente brava nella cassa di depositi e prestiti, ma perché l’ecosistema, gli incentivi non è quello del capitale privato del venture capital. Quella è la prima.

40:57
Solo una curiosità, hai parlato di capitali italiani per l’Italia, è voluta oppure ti riferisci anche ai capitali esteri?

41:07
Non ho anche capitali esteri, accidenti, assolutamente capitali esteri. Solo che il nostro capitale estero, idealmente non è solo il capitale estero che viene di Elvira Masch che si compra l’ennesimo brand italiano o della PSA che si compra alla fine la Fiat, ma è il capitale che investe in Italia per poter far crescere le imprese italiane e farle diventare…

41:28
grandi e multinazionali. Quindi questo è il tipo di capitale, soprattutto un capitale che porta intelligenza a questi aristocrati 2.0 italiani. Abbiamo all’estero italiani assolutamente straordinari che fanno tecnologia, finanza, management. Ecco, dobbiamo far rientrare questi cervelli ma non dando gli vantaggi fiscali a loro sul loro stallario, ma dandoli alle istituzioni e alle strutture capitalistiche che sono necessarie per salvare le imprese che vanno a pena di salvare. Le altre bisogna farle morire, ma non vuol dire far morire

41:58
posti di lavoro. Vuol dire che queste imprese vengono comprate dalle altre per farle crescere e salvare i posti di lavoro che altrimenti avrebbero perduti. E non credi che l’intervento di capitali esteri nelle grandi imprese, specie quelle strategiche, possa avere dei rischi di perdita di sovranità? No, a parte che la definizione sovranità…

42:17
Questi tempi di sovranità e sovranismo sono termini che preoccupano. Io voglio la sovranità delle grandi imprese italiane, quelle che mancano. Non mi interessa la sovranità culturale dello Stato, mi interessa la sovranità delle imprese italiane. Quindi questa era la prima proposta. La seconda proposta è quella dell’università. Noi non usciremmo da questo disastro se non cambiamo e non rivoluzioniamo. Già si parla nei gesti generation fund di dare i soldi a pioggia a tutta l’università, vuol dire buttare via i soldi come abbiamo buttato via gli altri.

42:47
Bisogna fondamentalmente fare nascere una decina di università che diventano research university, quindi di ricerca, e le altre devono dedicarsi a fare un’ottima didattica, magari una didattica più breve.

42:59
che non vuol dire fare i superperiti, attenzione. Io spiego perché. Naturalmente far passare questa idea ai docenti, ai universitari italiani, soprattutto, e alle altre è inaccettabile. O facciamo questa cosa, io suggerisco un modo pratico per farlo, fra l’altro nel sabbio. E la terza è affrontare questo tema della burocrazia, creando i checks and balance, quindi i controlli sulla magistratura.

43:19
Non vuol dire per niente riformare i CSM sul sistema elettorale, dei CSM non serva niente questo perché chi conta è l’NM, ma restituire gerarchia, valutare, cominciare a dare obiettivi e fondamentalmente rendere i magistrati responsabili. Io suggerisco tutta una serie di…

43:35
meccanismi in particolare. Quindi non 500 proposte. Quello che non va del next generation, ci sono alcune cose che hanno un gran senso. L’infrastruttura per esempio sulla banda larga è ottima. Il problema sarà la realizzazione per problemi soliti di paralisi che ci sono ma ci vogliono dei riformi che non costano. Quindi attrarre capitali internazionali intelligente capace incentivandolo secondo riformare l’università.

43:59
seriamente e terzo mettere questi Jackson Ballin sulla giustizia. Si comincia a parlare di riforme della giustizia ma pochi la vedono come la sto descrivendo io.

44:10
ma Roger ti volevo chiedere, è la chiave della svolta del mondo universitario? Credi che la formazione online possa essere un aiuto in questo senso? Anche in termini di accessibilità, proprio per poter riprodurre la aristocracia 2.0?

44:28
Ho dimenticato di dire una cosa molto importante, perché vedo un enorme rischio e una grande opportunità dal Covid. Perché questo Covid sta accelerando l’economia della conoscenza. Lo vediamo con l’e-commerce, lo vediamo con la didattica in remoto. La sta accelerando perché non si tornerà come prima.

44:42
Allora questa roba farà sì che chi era forte prima nell’economia della conoscenza uscirà più forte e chi è debole uscirà più debole. Le università e la didattica onalai saranno sicuramente una cosa, però è un grande rischio perché per esempio noi contiamo sulle nostre buone università che le prime dieci cominciano ad avere studenti internazionali i quali vengono in Italia perché c’è una buona didattica perché l’Italia è bella, perché poi costa un poco le rette.

45:09
e tutte queste cose però se hanno l’occasione di laurearsi all’MIT in remoto a un lato e dall’altro c’è anche la possibilità invece di offrire da un lato le opportunità. Questo cosa richiede? Richiede eccellenza, qualità e quindi tornano a questo tema della riforma di università è uno degli aspetti, è un acceleratore di quello di cui parlavo.

45:30
Grazie Roger, starei avanti a parlarne per ore ma siamo quasi in chiusura, voglio farti le ultime due domande. La prima per la praticità che ci contraddistingue, qual è la tua call to action? Cioè cosa possiamo fare noi ascoltatori per contribuire a un passo in avanti nel processo di aristocratizzazione del Paese?

45:49
Ma io credo che la prima cosa sia veramente informarsi bene sui veri problemi del Paese, perché ancora purtroppo, e qui c’è responsabilità dei media, della politica, ma anche delle università stesse, quindi documentarsi. La seconda cosa è a questo punto non allinearsi necessariamente, che se andiamo a vedere la storia vediamo che a un certo punto quando i grandi disastri che abbiamo avuto sono dovuti quando…

46:15
l’opinione pubblica eccetera si è allineata, non ha detto di no quando doveva dirlo. E poi la terza cosa è invece secondo me a livello individuale, rivalutare contrariamente a quello che si legge tutti i giorni, l’educazione superiore, veramente spingere oggi i giovani che si prendono una laurea in un’ottima università, un’esperienza magari all’estero, hanno opportunità anche da noi, non ne hanno come negli altri paesi e non devono…

46:42
Tutti questi docenti che sparano contro la meritocrazia, che dicono no non serve niente questa roba qui, fanno un danno ai loro stessi studenti, è una cosa drammatica. Io questo è l’unica cosa che posso dire e spero che questo saggio aiuti in questo senso.

46:58
Assolutamente Roger, infatti gli ascoltatori che sono stati incuriositi possono trovare il link all’interno dell’episodio per l’acquisto del libro. Ne approfitto per l’ultima domanda a Roger che riguarda il mondo dei giovani a cui diamo sempre una grande attenzione. E la domanda è cosa diresti a Roger a Bravo al ventenne e cosa faresti oggi se avessi vent’anni o trent’anni?

47:22
Io farei esattamente quello che ho fatto perché io ho avuto una fortuna che si chiama Get Duffy. Io nel mio primo libro ho ringraziato, merito che ho ringraziato Get Duffy, ma io vengo da una famiglia, eravamo in Libia, colonia italiana, e mio papà, non laureato, però era un uomo intelligente, aveva fatto una grande fortuna, però sapeva che qualche rischio c’era e mi spinse a studiare, quel punto è italiano, qual era la migliore università in ingegneria, era il Politecnico di Milano dove c’era un premio Nobel e mi spinse a andare a Politecnico

47:52
di Milano e arrivò Gheddafi che gli tolse tutto. Mio papà divenne un profugo, anzi io mi occupai di lui e della mia famiglia e io divenne il suo capitale. Quindi la mia storia io l’ho vissuta proprio con quest’idea dell’aristocrazia. Mio papà era un aristocratico 2.0 senza essere lui laureato ma ha capito questo che è la cosa importante per me. Non poteva lasciarmi i suoi beni perché erano beni fragili, vulnerabili con la geopolitica di oggi.

48:20
che quel bene vero che contava era un’ottima education. Infatti mi ha spinto a farlo.

48:27
Che bel messaggio e che bella storia, caro Roger. Se avessi vent’anni o trent’anni oggi, che cosa faresti? Cosa consiglia ai nostri giovani?

48:38
Allora, vent’anni è diverso da trenta. Quindi vent’anni sicuramente di cercare di prendersi una ottima laurea, una specializzazione, possibilmente. Trent’anni io cercherei di lavorare in una grande spesa. Figliari di multinazionali, che sono sicuramente quelle che sono oggi posti per cui… ho un saggio racconto di una cosa che si chiama Great Place to Work, un survey, è il posto dove si lavora meglio e sono sempre le figliari di multinazionali quelle che si lavora meglio.

49:05
Quindi sei sempre per la grande impresa. Sì, oppure in una startup però fatta di qualcuno che vuole crescere. Per me il grande risultato del voler crescere. Io non sono nemico delle piccole imprese, sono stato anche un investitore in tante piccole imprese, ma adoro le piccole imprese che vogliono crescere, non che dicono piccolo e bello. Voglio piccole imprese che un giorno vogliono diventare protagonisti globale.

49:29
Grazie Roger, con questo bel messaggio chiudiamo la nostra intervista. Ti ringrazio a nome mio e a nome degli ascoltatori per i bei messaggi, le considerazioni, le esperienze che hai voluto condividere con noi. Rimando agli ascoltatori interessati al link nell’episodio per acquistare il libro e auguro buon lavoro a tutti da parte Vincenzo Marzetti. Grazie per l’ascolto e arrivederci al prossimo episodio.

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